Come ESA ha sciolto il ghiaccio sulle ottiche di Euclid

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Il Multi Layer Insulation, l'elemento responsabile della cattura dell'acqua a Terra. Credits: Airbus

L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha comunicato ufficialmente lo scioglimento del sottilissimo strato di ghiaccio che si era formato sulle ottiche del telescopio spaziale Euclid, il cui compito è lo studio dei fenomeni di lensing gravitazionale debole (weak galaxy lensing) per studiare l’evoluzione dell’Universo.

Il telescopio è stato lanciato il primo luglio 2023 a bordo di un Falcon 9 di SpaceX e ha raggiunto la sua destinazione il mese successivo, unendosi alla flotta di satelliti in orbita attorno al punto lagrangiano L₂ del sistema Sole-Terra, come Gaia e JWST. Ancor prima di essere lanciato, però, Euclid ha attraversato diversi momenti di incertezza: come spiegatoci all’evento in cui venivano pubblicate le prime foto scientifiche di Euclid, Frank Grupp, Project Leader delle ottiche dello strumento NISP presso il Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics di Monaco di Baviera, le ottiche del telescopio, le più grandi utilizzate per un sensore a infrarossi, sono state particolarmente difficili da costruire e hanno richiesto diverse riprogettazioni per trovare il giusto compromesso tra peso, resistenza e campo di vista.

Poco dopo il lancio, invece, un problema al sensore di guida fine (FGS, Fine Guidance Sensor) ha impedito un corretto puntamento del telescopio: lo strumento ha lo scopo di inquadrare una porzione di cielo e confrontarla con gli atlanti stellari precaricati nel software di bordo, permettendo così al satellite di mantenere il puntamento per le osservazioni scientifiche. Il problema è stato risolto sviluppando e validando una patch software a Terra, che è stata poi caricata su Euclid e ha permesso al satellite di continuare le sue operazioni di calibrazione, terminate intorno alla fine di novembre. Da quel momento in poi è iniziata la Early Survey Operation, una fase di circa sei mesi — fino a maggio 2024, quindi — in cui vengono effettuate delle campagne osservative preliminari: al termine di questa, se i dati e le performance sono quelle attese, Euclid inizierà la vera e propria missione scientifica, che dovrebbe durare circa sei anni.

Ed è stato proprio durante il confronto di alcuni dati appena raccolti con altri ottenuti mesi prima che gli scienziati hanno notato una diminuzione della quantità di luce ricevuta da alcune stelle. Si è potuto escludere fin da subito il fatto che le stelle fossero variabili, ovvero caratterizzate da una variazione periodica della luminosità, grazie anche al confronto con delle osservazioni effettuate da Gaia, e attribuendo quindi la colpa alle ottiche di Euclid.

La causa

Il responsabile del rilascio delle molecole di acqua è stato individuato nel Multi-Layer Insulation (MLI), che ha il compito di isolare termicamente l’area coperta nel modo più efficace possibile: è stato stimato che il MLI di Euclid possa assorbire fino a 100 g di acqua, pari a circa l’1% del suo peso. L’assorbimento è avvenuto durante le fasi finali di assemblaggio della sonda: sebbene queste operazioni avvengano all’interno di speciali ambienti, chiamati clean room, dove temperatura, umidità e presenza di particelle sono altamente controllate, non è sempre possibile eliminare tutto il vapore acqueo presente nell’aria. Anzi: l’umidità deve essere mantenuta a un livello non inferiore al 50% per evitare l’accumulo di elettricità statica che potrebbe danneggiare le componenti elettroniche dei satelliti.

Il principale luogo in cui si sospettava si fosse formato del ghiaccio era lo specchio dietro alle ottiche principali: è stato scaldato da −147 °C a −113 °C in circa 100 minuti, raggiungendo una temperatura sufficientemente elevata per far sublimare il ghiaccio. Nelle condizioni di pressione dell’ambiente spaziale, non è infatti necessario raggiungere i 100 °C a cui solitamente l’acqua bolle a livello sul mare sulla Terra.

Il riscaldamento ha prodotto effetti immediati, facendo giungere il 15% in più di luce agli strumenti: l’incremento è stato superiore alle aspettative, generando stupore e sollievo negli scienziati coinvolti nella missione.

La soluzione

Il rilascio di molecole di acqua era stato previsto sin dall’inizio, in quanto fenomeno spontaneo presente in tutti i satelliti operativi. A questo proposito, poco dopo il lancio era stata effettuata una procedura di outgassing, ovvero di rimozione di tutti i gas che potevano essere rimasti intrappolati a Terra: il satellite era stato esposto parzialmente alla luce solare, contemporaneamente attivando dei riscaldatori montati a bordo. Lo scopo era far sublimare il maggior numero possibile di molecole di acqua: non è stato però sufficiente.

Nonostante durante lo sviluppo della missione fosse stata ideata una procedura per affrontare questo tipo di problema, i tecnici della missione hanno preferito svilupparne un’altra. La motivazione è da individuare nel possibile disallineamento di alcuni componenti quando subiscono un ciclo di riscaldamento e poi raffreddamento: con il primo infatti tendono a espandersi, mentre durante il secondo a contrarsi, tornando alla dimensione – ma non necessariamente alla posizione – originaria. Se fosse successo, questo avrebbe richiesto una ricalibrazione completa di tutte le ottiche, vanificando i mesi di lavoro fino a quel momento dedicati e richiedendone verosimilmente altrettanti.

I tecnici al lavoro hanno quindi effettuato degli esperimenti a Terra per cercare di studiare come risolvere il problema, utilizzando dei macchinari che hanno simulato l’accumulo di ghiaccio sulla superficie delle ottiche, a un tasso di deposito di ghiaccio compreso tra 0,1 e 100 nm/min: sebbene possa apparire un numero molto piccolo, il tasso reale sperimentato da Euclid era dalle 100 alle 10.000 volte inferiore. La necessità di svolgere questi esperimenti è dovuta al fatto che, nonostante si tratti di un problema piuttosto comune, le ricerche e gli studi in merito sono molto pochi, rendendo il lavoro svolto quasi pionieristico. Non a caso il team che si è occupato di questo aspetto ha pubblicato nel luglio 2023 su Astronomy&Astrophysics un paper.

La procedura finale ha previsto il riscaldamento di parti ottiche a basso rischio e situate in aree in cui il rilascio di acqua rendesse improbabile la contaminazione di altri strumenti o delle ottiche stesse. I primi sono stati due specchi, in grado di essere riscaldati indipendentemente: nel caso in cui il problema non fosse stato risolto, era previsto il riscaldamento di altri gruppi di specchi, fino alla completa risoluzione del problema.

Per questa volta, i tecnici al lavoro hanno impiegato diverse centinaia di ore tra esperimenti in laboratorio e considerazioni tecniche per l’ideazione di un processo di scioglimento del ghiaccio sulle ottiche di Euclid: questo lasso di tempo è stato anche reso possibile dal fatto che Euclid non sia ancora pienamente operativo, motivo per cui non sta producendo dati scientifici regolarmente. Dal momento che il rilascio di acqua continuerà in futuro, sarà necessario avere una soluzione immediatamente applicabile, per ridurre al minimo l’impatto sull’attività scientifica: la procedura durerà complessivamente circa tre o quattro giorni, molto probabilmente scelti durante periodi con un basso numero di osservazioni. Si stima che sarà necessario ripetere la procedura ogni sei o dodici mesi: questo perché il tasso di outgassing delle molecole è più alto a inizio missione e tende a diminuire al proseguire di essa.

Fonti: ESA

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Matteo Deguidi

Studio Astrophysics and Cosmology a Padova e sono interessato alle nuove generazioni di telescopi, sia terrestri che in orbita. In ambito astronautico la mia passione principale è seguire lo sviluppo e la costruzione delle sonde, dai siti di produzione al lancio. Considero ISAA come una seconda famiglia, la quale mi ha dato possibilità di accedere ad un mondo di notizie che da tanto ricercavo.