SpaceX: una Dragon usata è in viaggio verso la ISS

SpaceX ha centrato i primi obiettivi dell’undicesima missione di rifornimento alla Stazione Spaziale Internazionale (CRS-11), con il cargo Dragon inserito in orbita in perfetta efficienza e il primo stadio del Falcon 9 atterrato senza difficoltà a pochi chilometri dal luogo da cui era decollato.

Il liftoff dal pad 39A del Kennedy Space Center era stato inizialmente programmato per le 17.55 ora locale (le 23.55 in Italia) del 1° giugno; giovedì tuttavia il meteo non ottimale ha determinato la violazione di una delle regole di volo (un fulmine è caduto a pochi chilometri dal piattaforma di lancio nell’ultima mezz’ora del countdown) con il conseguente scrub.

Oggi, 3 giugno, grazie ad un repentino miglioramento del tempo, il Falcon 9 ha ricevuto il “GO” al decollo, nell’unica occasione possibile (la finestra di lancio era istantanea) alle 17.07 EDT, ossia le nostre 23.07. Si è trattato della centesima partenza da quella storica zona di lancio (sommando 12 Saturn V, 82 STS-Shuttle e 6 Falcon 9) dai tempi della sua inaugurazione, poco meno di 50 anni fa, nel novembre del 1967.

Il Falcon 9 si alza sopra il Kennedy Space Center (Credit: NASA/Bill Ingalls)

Il primo stadio ha spinto il razzo per il primi 2 minuti e 22 secondi. A T+2:32 è subentrato l’unico Merlin del secondo stadio, mentre, dopo appena 6 secondi, il primo stadio eseguiva il boostback burn, l’accensione di “ritorno” per ricondurre il booster verso Cape Canaveral. Seguivano dopo pochi minuti il rientro in atmosfera con il dispiegamento delle grid fins, le “pinne” per il controllo aerodinamico del booster, l’entry burn, per rallentare la discesa, e infine, a T+7:27,  il landing burn che ha deposto lo stadio al centro della zona di atterraggio, generalmente usata in voli come quello di oggi, diretti all’orbita bassa.

Atterraggio del primo stadio (Credit: SpaceX)

A quel punto, per consentire alla Dragon di arrivare in LEO, occorrevano ancora 2 minuti di spinta del secondo stadio. A T+10:05 si concludeva la missione del Falcon 9 con il distacco del cargo che, dopo 140 secondi, dispiegava puntualmente i pannelli solari, disponendosi in assetto regolare di volo alla rincorsa della ISS, ove è attesa per lunedì 5 giugno dagli astronauti Peggy Whitson e Jack Fischer che ne eseguiranno la cattura con il braccio robotico.

Il trunck di Dragon CRS-11 al momento del distacco dal secondo stadio (Credit: SpaceX)

Una Dragon usata?

Tutto secondo copione, quindi? In realtà, non c’è missione dell’azienda di Hawthorne che possa definirsi del tutto “normale”. Come chi segue questi eventi sa bene, quasi ogni volo del Falcon 9 prevede l’introduzione di qualche nuova tecnologia o un aspetto sperimentale da testare e anche questa volta la regola è stata rispettata.

Ora che gli atterraggi dei booster, per quanto sempre spettacolari, sono diventati una consuetudine  (e già da un po’ non vengono più definiti “experimental” nella descrizione dei momenti del volo che seguono al lancio, mostrata durante la diretta video) e una volta dimostrata la riusabilità dei primi stadi recuperati, si inizia a parlare di riutilizzo delle capsule. A rivestire il ruolo di Dragon CRS-11 in vetta al Falcon 9, ed ora in rotta verso la ISS, è infatti il veicolo, con numero di serie C106, che ha già volato portando il suo carico alla stazione spaziale nella missione CRS-4, nel settembre-ottobre 2014.

È bene precisare che, a differenza del primo stadio del Falcon 9 che – almeno in teoria – potrebbe essere rimesso in rampa senza aver bisogno di riparazioni e pezzi di ricambio, il cargo Dragon è solo parzialmente riusabile. Alcune sue parti infatti (come il trunk e i pannelli solari) vanno distrutte durante il rientro in atmosfera e devono essere sostituite completamente. Ma anche altri componenti, come lo scudo termico, tutti gli elementi che sono stati esposti all’acqua marina dopo lo splash down e parti dell’avionica sono nuovi. In sostanza, della vecchia Dragon CRS-4 è tornata nello spazio la “struttura primaria”, ossia il modulo pressurizzato o poco più. Sicuramente, dal punto di vista della massa, resta vera l’affermazione fatta durante il briefing che ha preceduto il lancio: “La maggior parte di questa Dragon è già stata nello spazio”.

La Dragon C106 durnate il suo primo volo nella missione CRS-4. (Credit: SpaceX)

Forse è troppo poco, per definirla una capsula riutilizzabile ma, dal punto di vista di SpaceX, questo risultato – sperando che tutto si concluda nei migliore dei modi, fino al rientro, nel luglio prossimo – non è di poco conto. Il progetto è infatti quello di utilizzare le Dragon che hanno già volato per completare un buon numero delle missioni ancora pendenti nell’ambito del contratto Commercial Resupply Services 1 (sono 10 compresa quella iniziata oggi, ma va esclusa la CRS-12 che userà un veicolo nuovo), in modo da chiudere la linea produttiva della Dragon 1 e dedicarsi alla messa a punto di Dragon 2.

La nuova capsula servirà principalmente al trasporto degli astronauti alla stazione spaziale, ma verrà realizzata anche in versione cargo. Saranno verosimilmente le Dragon 2 a garantire (almeno in parte) le missioni previste dal contratto CRS 2, offrendo un maggiore volume di carico e permettendo, grazie all’impiego della versione definitiva “Block 5” del Falcon 9, di accrescere la massa da trasportare sulla ISS.

Con la Dragon 2 cargo potremo vedere anche i primi atterraggi sulla terraferma: l’intenzione di SpaceX è infatti quella di mettere alla prova l’affidabilità dei propulsori SuperDraco nei voli senza equipaggio, prima di abbandonare paracadute e ammaraggio nelle capsule che porteranno a terra gli astronauti e le missione CRS potrebbero offrire l’occasione per effettuare questa sperimentazione, usufruendo di voli già pagati.

Il piano per il riuso delle Dragon ha dovuto ottenere la formale approvazione delle NASA, dal momento che il contratto CRS parla esplicitamente di nuovo hardware per ogni missione. Secondo Kirk Shireman, program manager per la ISS, l’agenzia spaziale statunitense ha esaminato scrupolosamente il lavoro di ripristino e di certificazione svolto da SpaceX sulla capsula, per avere la certezza che il suo utilizzo non comportasse maggiori rischi, e ne è risultata soddisfatta. D’altra parte, dato l’atteggiamento molto supportivo che la NASA ha sempre manifestato verso l’azienda di Elon Musk, questo esito era abbastanza prevedibile. C’è anche ragione di credere che la NASA non si opporrà in futuro all’impiego dei primi stadi usati – una volta che se ne sia sufficientemente comprovata l’affidabilità – e alle sperimentazioni relative all’atterraggio sulla terra ferma. È vero che queste ultime potrebbero comportare la perdita del materiale di ritorno dallo spazio, ma ciò è già stato tollerato in passato: le prime Dragon subivano dopo l’ammaraggio infiltrazioni d’acqua, con conseguenti avarie dei sistemi elettrici e danni per i campioni scientifici trasportati a bassa temperatura.

Materiali per un’intensa estate di ricerca

A bordo della Dragon CRS-11 che arriverà il 5 giugno alla Stazione Spaziale Internazionale c’è un carico complessivo di 2,7 tonnellate, 1.665 kg nel modulo pressurizzato (ripartiti tra: 1.069 kg di materiali per gli esperimenti, 242 kg rifornimenti per l’equipaggio, 199 kg di hardware, 56 kg di equipaggiamenti per le attività extraveicolari e 27 kg di materiale informatico) e 1.179 nel trunk, esposto allo spazio. Tanto materiale per alimentare l’attività scientifica nel corso dell’intera estate: oltre 250 esperimenti che terranno occupati gli equipaggi delle Expedition 52 e 53. Eccone alcuni esempi.

Per la quinta volta, all’interno del modulo pressurizzato (e per la seconda in questa capsula) viaggianno topi, protagonisti dell’esperimento Rodent Research 5. A differenza delle precedenti ricerche, imbarcate su CRS-4, 6, 8 e 10, la nuova indagine riguarda l’osteoporosi ed è condotta in collaborazione dal Center for the Advancement of Science in Space (CASIS) e dall’University of California di Los Angeles (UCLA).

Come è noto, la perdita di densità ossea è uno dei problemi fisici più seri da affrontare quando si compiono lunghi viaggi spaziali; la contromisura attuale, basata sull’esercizio fisico, può solo rallentare il fenomeno; Rodent Research 5 è invece finalizzata alla sperimentazione di un nuovo farmaco (NELL-1) in grado di ricostruire le ossa, che potrebbe essere di grande aiuto non solo per coloro che trascorrono periodi prolungati in microgravità, ma anche per le numerose persone che soffrono di osteoporosi sulla Terra.

Rodent Habitat (Credit: NASA/Dominic Hart)

L’esperimento prevede l’utilizzo del Rodent Research Habitat, a bordo della ISS, che ospiterà 40 roditori. La metà di loro avrà la fortuna di rientrare a terra, con la Dragon dopo un mese, per essere sottoposti ad ulteriori indagini.

Fruit Fly Lab-2 è un esperimento basato sulla Drosophila Melanogaster, il moscerino della frutta, uno degli animali più studiati nella ricerca biologica e genetica, in quanto il suo genoma ha notevoli affinità con quello umano e, avendo un brevissimo ciclo vitale, può essere facilmente studiato per più generazioni. La ricerca che occuperà una delle tre piattaforme disponibili sulla ISS per lo studio dei moscerini, vuole indagare gli effetti della microgravità e dell’ambiente spaziale sull’apparato vascolare e sul cuore, cercando di isolarne i meccanismi genetici e cellulari.

L’esperimento FFL-2 utilizza sei Vented Fly Box, scatole areate che contengono i flaconi con i moscerini. (Credit: NASA)

La ricerca sulle Capillary Structures, è intesa invece a sviluppare nuovi metodi, basati appunto sulle “strutture capillari” per la separazione di gas e liquidi, operazione chiave nel funzionamento dei sistemi di supporto alla vita della stazione spaziale, sia per il riciclo dell’acqua che per la rimozione di biossido di carbonio. Utilizzando immagini time lapse i team di ricerca a terra osserveranno come i liquidi evaporano da queste strutture capillari, testandone l’efficacia. I risultati dell’inchiesta potrebbero condurre allo sviluppo di nuovi processi più semplici di quelli attualmente in uso e affidabili anche in caso di mancanza di energia elettrica o di altri malfunzionamenti.

Il carico non pressurizzato

Nel trunk della Dragon sono alloggiati tre payload, che saranno posizionati all’esterno della stazione.

Rappresentazione artistica di NICER in funzione sulla ISS. (Credit: NASA)

NICER (acronimo per Neutron-star Interior Composition ExploreR) è uno strumento per studiare come la materia si comporta nelle condizioni estreme, in termini di densità e di calore, che si verificano all’interno delle stelle di neutroni, attraverso la misurazione delle emissioni termiche e non termiche nella banda dei raggi X a bassa energia.

I 56 concentratori per raggi X del banco ottico di NICER. (Credit. NASA)

Annesso a NICER è un dimostratore tecnologico, SEXTANT (Station Explorer for X-ray Timing and Navigation Technology), che aiuterà i ricercatori a sviluppare un sistema di navigazione nello spazio profondo, basato sulle pulsar, stelle di neutroni in rapida rotazione, che emettono raggi-x in modo estremamente regolare.

Un altro dimostratore tecnologico è ROSA (Roll Out Solar Array) che vuole sperimentare un nuovo tipo di pannello solare flessibile, tanto da poter essere arrotolato, e leggero, ma resistente. Il sistema viene provato in vista della progettazione di futuri veicoli a propulsione elettrica che la NASA intende realizzare per operazioni intorno alla Luna e oltre.

Test del nuovo tipo di pannelli solari. (Credit: Deployable Space Systems, Inc)

Dopo l’arrivo di Dragon alla stazione, ROSA sarà spostato temporaneamente su una piattaforma ELC. I test sul pannello saranno effettuati per una durata di 7 giorni, durante i quali sarà connesso al braccio robotico.

Non è invece un esperimento, ma potrebbe supportarne in futuro, MUSES (Multi-User System for Earth Sensing), una piattaforma in grado di ospitare, per applicazioni commerciali e scientifiche, fino a quattro payload per l’osservazione della terra, fornendo connettività elettrica e dati e puntamento di precisione. Il sistema è ottimizzato per una varietà di sensori (fotocamere digitali ad alta risoluzione, rilevatori iperspettrali, LIDAR, radar, sensori magnetici, ecc.). I payload installati su MUSES potranno essere modificati, aggiornati e gestiti roboticamente, cose ovviamente impossibili nelle missioni satellitari autonome.

La piattaforma MUSES. (Credit: Teledyne Brown Engineering)

Dragon CRS-11 resterà connessa alla stazione per circa un mese. Al momento del rientro, il 2 luglio, sarà caricata con 1.900 tonnellate di materiale, tra cui un contenitore per i topi e quattro refrigeratori Polar, contenenti campioni da vari esperimenti.

 

Technical webcast del lancio di Dragon CRS-11

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Commenti

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Roberto Mastri

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Una risposta

  1. espirit ha detto:

    SpaceX, Stratolaunch Systems, Blue Origin, Sierra Nevada Corporation… il futuro del settore spaziale passa da loro(e ovviamente anche dalla NASA).
    E’ un nuovo periodo d’oro per l’astronautica!