SpaceX completa con successo lo storico volo di un primo stadio usato

Credit: SpaceX

Si è concluso con pieno successo, con un perfetto atterraggio sulla piattaforma galleggiante sulle acque dell’Atlantico, il secondo volo del primo stadio del lanciatore di SpaceX, incaricato di dimostrare nei fatti quella riusabilità che, nei piani di Elon Musk, sarà la chiave della riduzione dei costi dell’accesso allo spazio.

Il secondo liftoff del primo stadio #1021. Credit: SpaceX

Il Falcon 9, completo di un nuovo secondo stadio e caricato delle 5,3 tonnellate del satellite per telecomunicazioni denominato SES-10, si è staccato dal pad 39A del Kennedy Space Center alle 18:27 ora locale del 30 marzo, quando in Italia erano le 0:27 del giorno successivo. I nove “collaudati” motori Merlin 1-D del primo stadio hanno svolto il loro lavoro con piena efficienza per i 158 secondi previsti; dopo la separazione, anche il secondo stadio ha effettuato la sua prima accensione, di quasi cinque minuti, in modo nominale. Al suo unico propulsore era affidato il destino del payload ma, come solitamente avviene in questi casi, l’interesse della maggior parte dei testimoni dell’evento era rivolto soprattuto alle sorti del primo stadio che, dopo circa quattro minuti di volo inerziale effettuava la prima accensione di rientro.

Il primo stadio effettua l’accensione di rientro (a sinitra) mentre il secondo stadio (a destra) continua a spingere il payload verso l’orbita. Credit: SpaceX

Pochi secondi prima di SECO-1 (ossia il primo spegnimento del secondo stadio), a 8 minuti e 32 secondi dal lancio, il primo stadio effettuava il suo secondo atterraggio sulla chiatta robotica “Of Course I Still Love You”, che lo attendeva a circa 550 km ad Est di Cape Canaveral. Un risultato così perfetto, nonostante la carenza di immagini per problemi di collegamento, da indurre lo stesso Elon Musk a comparire brevemente durante la diretta per celebrare, dopo quindici anni di sforzi, la realizzazione della sua rivoluzione nell’ambito della tecnologia spaziale. “Abbiamo dimostrato – ha concluso – che può essere realizzato ciò che molte persone dicevano impossibile”.

A coronamento di questo successo si verificava poi il completamento della missione del Falcon 9, con la seconda accensione, di 53 secondi, del secondo stadio e il successivo rilascio di SES-10 in orbita di trasferimento geostazionaria, 32 minuti dopo il liftoff.

Missione compiuta: la separazione di SES-10 dal secondo stadio. Credit: SpaceX

Il core #1021

Il primo stadio usato protagonista di questo storico volo, identificato dal numero seriale 1021, aveva conosciuto il battesimo dello spazio quasi un anno fa. Era parte, infatti, del Falcon 9 che, l’8 aprile del 2016, ha avviato, per conto della NASA, la missione di rifornimento per la Stazione Spaziale Internazionale CRS-8. In quell’occasione il core 1021 aveva già conseguito un risultato passato agli annali, essendo stato protagonista del primo atterraggio riuscito sulla piattaforma galleggiante. Il profilo di quel volo, destinato a immettere il cargo Dragon nell’orbita bassa, avrebbe permesso un atterraggio direttamente a Cape Canveral, nella “Landing Zone 1”, ma SpaceX aveva ugualmente deciso di far scendere il primo stadio sulla chiatta, per mettere a punto la tecnica di rientro in condizioni ottimali e cogliere l’obbiettivo che, in precedenza, era stato solo sfiorato.

Il core 1021 atterrato durante la missione CRS-8. Credit: SpaceX

Dopo il rientro a Port Canaveral, spiato da tanti appassionati, il primo stadio era stato condotto nell’ Horizontal Integration Facility, l’edificio di assemblaggio orizzontale dei lanciatori di SpaceX, costruito ai margini del pad 39A, che, in un periodo in cui la piattaforma non ancora attrezzata per i lanci, è servito per qualche tempo da hangar di ricovero per i primi stadi recuperati. Qui sono iniziate le prime ispezioni e le prime operazioni di revisione che l’hanno ben presto identificato come il più idoneo, tra quelli al momento recuperati, per il riutilizzo.

Naturalmente non sono stati necessari tutti i quasi 12 mesi intercorsi da CRS-8 ad oggi per rimettere lo stadio in condizioni di volare. Il riutilizzo di un primo stadio usato in un vero e proprio volo commerciale era stato promesso da SpaceX entro la fine del 2016 e subito SES si era mostrata tra le compagnie interessate. L’annuncio ufficiale del nuovo volo del core 1021 nella missione SES-10, però, è stato dato solo a fine agosto, pochi giorni prima dell’incidente del 1° settembre, che ha bloccato il Falcon 9 fino a gennaio e ha imposto un riordino del manifesto dei lanci del 2017.

Qualche settimana fa, intervistata durante la conferenza Satellite 2017, la presidente di SpaceX Gwynne Shotwell ha dichiarato che per ripristinare il core 1021 sono stati necessari 4 mesi e che si prevede che tale tempo, a regime, si ridurrà della metà. A rigore, hanno sempre sottolineato i vertici dell’azienda californiana, non di dovrebbe parlare né di ripristino né di ricondizionamento, essendo il Falcon 9 nativamente progettato per volare diverse volte, né più né meno di un aereo di linea. Comunque sia, queste operazioni erano concluse ai primi di gennaio, quando il primo stadio è stato trasportato in Texas, nella base di sviluppo e test che SpaceX possiede a McGregor, per essere sottoposto alla prova di accensione della durata di un intero volo, che è la prima tappa della preparazione al liftoff di tutti i Falcon.

Il punto di vista di SES: un razzo usato conviene?

SES-10, il payload del volo di oggi, è un corposo satellite per comunicazioni, del peso di 5.282 kg, costruito da Airbus Defence and Space sulla piattaforma Eurostar E3000. Nelle prossime settimane, utilizzando il propulsore di cui è dotato, andrà a posizionarsi nello slot orbitale posto a 67° di longitudine Ovest, da dove potrà coprire, con i suoi 55 transponder in banda Ku l’America centrale e Meridionale. Salvo imprevisti, dovrebbe entrare in pieno servizio intorno alla metà di maggio.

SES-10 durante le fasi di preparazione. Credit: Airbus Defence and Space

Cosa può avere spinto SES, uno dei più grandi operatori satellitari del mondo, a utilizzare per mettere in orbita un hardware così costoso, quello che ad un profano poteva sembrare il rischioso volo sperimentale di un lanciatore usato? Lo ha chiarito in questi giorni alla stampa lo stesso Chief Technology Officer dell’azienda basata in Lussemburgo, Martin Halliwell.

Bisogna anzitutto sottolineare – ha osservato Halliwell – che, per quanto nel business spaziale i rischi siano in certa misura ineliminabili, non si è trattato di un azzardo eccessivo. Anche se i componenti del primo stadio erano ancora quelli originali, l’hardware era stato meticolosamente esaminato e testato in modo trasparente, con la partecipazione dei tecnici di SES, e offriva ragionevoli garanzie. È signficativo da questo pundo di vista il fatto che, per il lancio di oggi, SES non abbia dovuto sostenere dei costi assicurativi superiori a quelli ordinari.

Inoltre l’azienda lussemburghese non è stata attratta nell’impresa dal risparmio immediato, che in effetti non risulta particolarmente significativo, se rapportato al valore del payload. A quanto ammonti lo sconto che SpaceX ha accordato a SES in questa occasione non è dato sapere, anzi lo stesso Halliwell ha ammesso che il contratto prevede esplicitamente che l’informazione resti riservata. È comunque probabile che fosse un po’ di più del 10% che, secondo le ultime dichiarazioni della Shotwell, sarà concesso ai futuri clienti di SpaceX che vorranno servirsi di un Falcon 9 usato.

La scelta di SES deve essere letta come un investimento volto a “dimostrare la concreta realizzabilità del progetto” di SpaceX. “Su questa strada – ha aggiunto Halliwell – qualcuno deve essere il primo”. Al di là dei prezzi più bassi, la diffusione della riusabilità costituirà un vantaggio per le aziende, perché renderà disponibile un maggior numero di razzi e ciò permetterà di ridurre i tempi di attesa, che sono il vero punto dolente per gli operatori satellitari. Attualmente, tra il momento in cui un satellite viene ultimato e quello in cui è messo in orbita e può cominciare a produrre profitto, trascorrono in media sette mesi; in termini molto concreti si tratta di “un’attesa piuttosto costosa”.

I prossimi Falcon 9 usati in rampa

Il volo di oggi apre la via del pad 39A (e, prima dell’estate, anche della ripristinata piattaforma 40) ad altri lanciatori usati. La Shotwell ha dichiarato che SpaceX intende rimettere in volo quest’anno almeno sei dei primi stadi recuperati (in totale dal dicembre 2015 sono 9, ma non tutti sono in condizioni di tornare a volare); uno o due di essi, probabilmente, saranno integrati nel primo Falcon Heavy. La cosa potrebbe contribuire a ridurre la pressione sulla produzione e facilitare lo smaltimento della lunga lista di payload che l’azienda di Hawthorne si è impegnata a mettere in orbita.

Maggio 2016: i primi tre core recuperati, all’interno dell’hangar presso il pad 39A. Credit: SpaceX

Prima ancora del successo odierno, Halliwell ha fatto sapere che SES intende far volare su vettori usati SES-14 e SES-16, due dei tre satelliti che SpaceX dovrebbe lanciare nel corso del 2017.

Nonostante il supporto di SES, per SpaceX, superata la prova tecnologica, la vera sfida è ancora tutta da vincere. I prossimi mesi mostreranno quali saranno i tempi reali per il ritorno al volo e se il risparmio consentito dal riutilizzo dell’hardware inciderà davvero sul mercato dei lanciatori.

 

Video della diretta del lancio (webcast tecnico)

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Roberto Mastri

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