Batteri minatori al lavoro sulla ISS per estrarre metalli rari

Biofilm di Sphingomonas desiccabilis all'interno dei pori di un campione di basalto. Credit: ESA

L’esperimento europeo BioRock a bordo della ISS ha dimostrato l’efficacia dei batteri per l’estrazione del vanadio da campioni di basalto.

Nelle future missioni esplorative della Luna, Marte e asteroidi, l’utilizzo delle risorse locali (In Situ Resource Utilization, ISRU) rivestirà un ruolo determinante per evitare di inviare dalla Terra, a un prezzo molto alto, alcuni rifornimenti e materiali. Se parte del lavoro verrà effettuato da batteri, in maniera per loro naturale e producendo pochissimi prodotti di scarto tossici, allora la questione non sarà solo di natura economica, ma anche sostenibile per l’ambiente extraterrestre. Sulla Terra l’estrazione di metalli dal suolo e dai minerali è sempre stata sinonimo del grado di civilizzazione ed evoluzione tecnologica della nostra specie. Purtroppo però i processi di estrazione, lavorazione e raffinazione di alcuni metalli producono una serie di prodotti di scarto molto tossici per l’ambiente, come per esempio l’utilizzo del cianuro e del mercurio durante la lavorazione dell’oro.

Un gruppo internazionale di ricercatori, guidato da Charles Cockell e Rosa Santomartino dell’Università di Edimburgo in Scozia, sotto l’egida dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), da alcuni anni sta sperimentando l’utilizzo di particolari batteri minatori per estrarre alcuni metalli rari in condizioni di microgravità. L’esperimento BioRock è stato effettuato tra il 30 luglio e il 20 agosto 2019, all’interno del modulo Columbus della ISS dall’astronauta italiano Luca Parmitano durante la sua ultima missione Beyond (20 luglio 2019 – 6 febbraio 2020).

La ricerca ha prodotto una serie di articoli scientifici che dimostra l’efficacia dei biominatori anche in condizioni di microgravità; in particolare, in un articolo dello scorso aprile, viene trattato il caso del vanadio, elemento raro utilizzato per aumentare la resistenza strutturale e anticorrosiva di alcune leghe ferrose e non, compresi acciaio e alluminio.

L’esperimento BioRock prevedeva una serie di piccoli bioreattori, realizzati dall’azienda Kayser Italia di Livorno, inseriti nell’incubatore ESA Kubik a bordo della ISS. Ciascun bioreattore conteneva due campioni separati di roccia basaltica raccolta in Islanda, scelta per la sua composizione chimica molto simile ai campioni lunari e marziani. La porosità del basalto favorisce inoltre un’elevata superficie di scambio tra la roccia e i batteri minatori. La concentrazione media del vanadio nei campioni di basalto era di 175 ppm (parti per milione), compresa quindi tra i valori dei campioni lunari di Apollo 12 (126–296 ppm) e dei meteoriti marziani noti (100–350 ppm).

Campione di basalto simile a quelli utilizzati durante l’esperimento. Le dimensioni sono di 15 × 16 × 3 mm e massa di 1,87 ± 0,06 g. Credit: Rosa Santomartino/University of Edinburgh

Arrivati sulla ISS a bordo della capsula cargo Dragon CRS-18 di SpaceX, i 18 bioreattori sono stati posizionati in due incubatori Kubik, a temperatura costante di 20 °C, dotati di membrana permeabile all’ossigeno per la respirazione dei batteri e anche di una centrifuga per produrre differenti situazioni di microgravità. All’avvio dell’esperimento ciascun campione è stato ricoperto da un liquido nutritivo base di pH 7,2 e contenente uno, o nessuno nel caso del campione bianco, dei seguenti batteri eterotrofi:

  • Sphingomonas desiccabilis: un batterio di comprovata capacità di estrazione di metalli rari, campionato dal suolo di un altopiano in Colorado;
  • Bacillus subtilis: batterio molto comune sulla Terra, veterano di molti esperimenti nello spazio e di cui già ci siamo occupati lo scorso aprile;
  • Cupriavidus metallidurans: batterio scoperto in ambienti contaminati, molto resistente ai metalli e anch’esso veterano di molti esperimenti nello spazio.
Luca Parmitano mentre inserisce i bioreattori nella centrifuga di un incubatore Kubik. Credit: ESA/NASA

Durante i 21 giorni successivi, 6 bioreattori sono rimasti in condizioni di microgravità della ISS, 6 sono stati sottoposti a gravità marziana simulata e 6 a gravità terrestre simulata. Ulteriori 12 bioreattori di controllo sono rimasti a Terra sottoposti alla normale gravità. Alla fine dell’esperimento l’attività dei batteri è stata terminata tramite un fissativo non tossico iniettato automaticamente nei bioreattori, dopodiché l’astronauta Parmitano ha prelevato tutti i bioreattori dalle unità Kubik per riporli in un frigorifero a 2,1 °C in attesa del ritorno a Terra avvenuto pochi giorni dopo.

Dalle analisi qualitative e quantitative successive è risultato che il Bacillus subtilis ha ottenuto le più alte quantità di estrazione del vanadio con 30,38 ng (nanogrammi) in microgravità ISS, 23,83 ng a gravità marziana simulata e 22,83 ng a gravità terrestre simulata, con le rispettive percentuali rispetto ai campioni sterili di controllo del 283%, 219% e 221%. Anche lo Sphingomonas desiccabilis ha ottenuto buoni risultati, mentre il Cupriavidus metallidurans non ha evidenziato nessun incremento rispetto ai campioni in bianco.

Questi dati dimostrano che in condizioni di microgravità, dove non si innescano moti convettivi dovuti alla temperatura e fenomeni di deposizione dovuti alla gravità, l’estrazione di metalli rari su roccia tramite batteri biominatori dispersi in un fluido nutriente non viene sfavorita come era invece previsto. Questo aspetto lascia ben sperare per il prosieguo degli studi, considerando il fatto che non è ancora ben chiaro il meccanismo con cui avviene l’estrazione vera e propria dalla roccia, probabilmente legata all’attività enzimatica. Ci sono poi altri fattori che potrebbero aumentare le rese di estrazione e che verranno studiati in futuro, quali la frammentazione del basalto per aumentare ulteriormente la superficie di scambio, l’influenza della temperatura e del pH.

Si è trattato quindi di un primo passo per la comprensione di processi biologici sicuramente scalabili a proporzioni commercialmente redditizie, non solo per la produzione di utensili e parti meccaniche, ma anche per la biodepurazione di rifiuti e scarti di lavorazione per recuperare elementi preziosi come i metalli rari.

Fonte: NASA, Frontiers in Microbiology

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Simone Montrasio

Appassionato di astronautica fin da bambino. Dopo studi e lavoro nel settore chimico industriale, per un decennio mi sono dedicato ad altro, per inserirmi infine nel settore dei materiali compositi anche per applicazioni aerospaziali. Collaboro felicemente con AstronautiNEWS dalla sua fondazione.