Urea di origine umana per la costruzione delle future basi lunari
Un gruppo di ricercatori europei, sotto l’egida dell’ESA, ha recentemente condotto uno studio sull’utilizzo dell’urea derivante dall’urina umana come superplastificante nelle miscele di geopolimeri lunari da costruzione per le future basi sulla Luna, e i risultati ottenuti sono migliori di quelli dei classici additivi commerciali.
Per quanto riguarda la ricerca applicata all’utilizzo di risorse locali a basso costo per i futuri insediamenti umani sulla Luna, l’Agenzia Spaziale Europea non vuole lasciare nulla di intentato e, dopo il recente avvio del primo piccolo impianto per la produzione di ossigeno dalla regolite, ha ora finanziato una ricerca che consentirà di non utilizzare additivi superplastificanti da costruzione inviati dalla Terra.
Se si considera un prezzo superiore ai 20.000 dollari per ogni chilogrammo di materiale inviato in orbita, la scelta di utilizzare più risorse locali possibili, è sicuramente la via da percorrere.
Inizialmente si pensava di realizzare miscele da costruzione simili al cemento o al calcestruzzo, che richiedono un’abbondante utilizzo di acqua e additivi per l’impasto della regolite grezza, ma da qualche anno ci si è indirizzati sulla geopolimerizzazione della regolite, un processo che non richiede invio di materie prime dalla Terra, quindi economicamente realizzabile. Le caratteristiche superiori dei geopolimeri riguardano la controllabilità della posa e indurimento, resistenza alla compressione, resistenza al gelo/disgelo, resistenza agli agenti solforanti, acidi e sali, forte resistenza al fuoco e bassa conduttività termica, basso tasso di restringimento e alta capacità di schermatura alle radiazioni.
I geopolimeri sono materiali allo stato amorfo e semi cristallino, ad alto contenuto di silicio (Si) e alluminio (Al), che presentano caratteristiche superiori rispetto al cemento e calcestruzzo quando sottoposti a condizioni estreme.
Sulla Terra i geopolimeri si possono trovare allo stato naturale in fonti quali i materiali pozzolanici, lava o ceneri volanti della combustione del carbone o possono essere sintetizzati in condizioni molto vicine a quelle ambientali da polveri di alluminosilicati, come per esempio il metacaolino, che vengono sciolti in una soluzione alcalina, come per esempio l’idrossido di sodio (NaOH).
Fortunatamente gli ossidi di silicio (SiO₂) e alluminio (Al₂O₃) sono i due maggiori componenti della regolite lunare, con una media del 44% per il primo e 20% per il secondo e anche i metalli alcalini, da cui ricavare l’idrossido di sodio, sono relativamente abbondanti sulla superficie lunare.
Risolto il problema dei principali ingredienti, rimaneva da risolvere il problema degli additivi superplastificanti da utilizzare nell’impasto da costruzione.
L’impasto fresco di geopolimeri, a causa della densità della soluzione alcalina, risulta poco lavorabile ma, aggiungendo acqua per renderlo più fluido si riduce la resistenza alla compressione, per questo solitamente vengono utilizzati additivi sintetici a base di carbossilati o naftalina.
Sulla Luna l’acqua non è direttamente disponibile e, come già detto, gli additivi devono essere inviati dalla Terra. Ma se consideriamo la presenza di astronauti prima e durante le fasi di costruzione, allora abbiamo disponibile in loco anche la loro urina, che come è noto contiene dai 9 ai 23 grammi di urea per litro e una grande quantità d’acqua.
Come già avviene sulla Stazione Spaziale Internazionale la frazione acquosa può facilmente e in tutta sicurezza essere depurata e riutilizzata per vari scopi (la mia pipì di oggi è il tuo caffè di domani). L’urea invece, grazie alla sua capacità di rompere i legami chimici dell’idrogeno riducendo quindi la viscosità delle miscele acquose, è un ottimo additivo superplastificante naturale che consente di ridurre notevolmente l’utilizzo di acqua nell’impasto dei geopolimeri.
L’impasto ottenuto da materie prime tutte reperibili in loco viene quindi estruso e gettato tramite la tecnica di stampa 3D, come già sperimentato da qualche anno sulla Terra.
Utilizzando della regolite simulata (DNA-1), chimicamente e fisicamente molto simile alla vera regolite lunare, idrossido di sodio in polvere sciolto in acqua (480 g/L), urea in polvere e additivi a base di di carbossilati e naftalina in polvere, il team di ricerca ha effettuato vari test su quattro tipi di impasto, mantenendo per tutti il rapporto di 1:0,35 tra la regolite DNA-1 e la soluzione di idrossido di sodio.
Il campione di riferimento in bianco non aveva nessun additivo o urea, mentre gli altri tre si distinguevano per un 3% rispettivamente di urea, additivo a base di policarbossilato e additivo a base di naftalina.
I test eseguiti sui campioni estrusi sono stati di natura fisica e meccanica, valutando la deformazione, la posa strato su strato, il tempo di posa e la resistenza alla compressione. Inoltre, per valutare le proprietà microstrutturali, i campioni sono stati sottoposti a spettrografia infrarossa (FTIR) e tomografia 2D a raggi X. Per portare all’estremo le caratteristiche di ciascun campione alcune prove sono state effettuate anche dopo 2, 4 o 8 cicli di caldo/freddo (+80 °C per 48 ore seguiti da –80 °C per 48 ore).
I risultati ottenuti hanno evidenziato l’ottimo comportamento del campione con l’urea, che ha dimostrato di poter essere colato e stampato senza difficoltà e senza nessuna frattura. Quando sottoposto a carichi esterni e nella posa strato su strato ha evidenziato un’ottima tendenza a mantenere la propria forma. Inoltre, per la sua preparazione, il campione realizzato con l’urea ha richiesto il 20% in meno di acqua rispetto agli altri tre, un importante risultato vista la difficoltà di reperire l’acqua sulla Luna.
Una delle caratteristiche richieste dal processo di stampa 3D è la stabilità delle caratteristiche fisiche del materiale che non deve indurirsi nel serbatoio con il passare del tempo, in attesa di essere pompato verso l’estrusore, anche qui i risultati migliori li ha ottenuti il campione con l’urea.
Il team ha quindi concluso che l’urea potrebbe essere una buona soluzione come superplastificante per geopolimeri lunari da costruzione, evidenziando però che ulteriori studi sono necessari per valutarne il comportamento nel vuoto dell’ambiente spaziale con le ampie fluttuazioni di temperatura che occorrono in situazioni di diverso irraggiamento solare, la resistenza al bombardamento meteorico e alle radiazioni.
Lo studio completo, pubblicato da Shima Pilehvar dell’Østfold University College di Halden in Norvegia, Marlies Arnhof dell’ESA ESTEC di Noordwijk nei Paesi Bassi, Ramón Pamies della Technical University of Cartagena in Spagna, Luca Valentini dell’Università di Padova e Anna-Lena Kjøniksen dell’Østfold University College di Halden in Norvegia, è scaricabile a dal Journal of Cleaner Production.
Fonte: Journal of Cleaner Production.
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