Missione Volare: tutto quello che c’è da sapere

La patch della missione Volare
La patch della missione Volare

Cos’è Volare?

Volare è il nome della prossima missione semestrale di ESA sulla Stazione Spaziale Internazionale. A rappresentare la nostra agenzia continentale sarà l’astronauta italiano Luca Parmitano, il primo del nuovo gruppo di astronauti selezionati dall’ente spaziale per volare nello spazio, continuando la tradizione dell’Italia nell’esplorazione umana del cosmo.

Il lancio avverà alle 22:31 italiane del prossimo martedì 28 maggio da Bajkonur, in Kazakistan,  a bordo di un razzo Sojuz; l’equipaggio sarà completato dal comandante, il russo Fyodor Yurchikhin, e dall’astronauta NASA e ingegnere di volo Karen Nyberg.

Luca presterà servizio nel ruolo di ingegnere di volo sulla ISS per le spedizioni 36 e 37, dopo essersi certificato come astronauta Europeo e su proposta dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Gli obiettivi principali della sua missione saranno condurre una serie di esperimenti scientifici e due passeggiate spaziali per lavori di manutenzione alla Stazione.

Da un punto di vista formale questa opportunità di volo è stata assegnata all’ASI dalla NASA e nasce da un Memorandum bilaterale diretto NASA/ASI, in base al quale ASI ha fornito all’ente spaziale statunitense tre moduli pressurizzati abitativi (MPLM – Multi Purpose Pressurized Module) e il PMM (Permanent Multi Purpose Module) per la ISS.

Come seguire l’andamento della missione?

Le fonti principali a cui fare riferimento sono il sito di ESA dedicato alla missione Volare ed il blog di Luca Parmitano. Tutte le notizie relative all’Expedition 36/37 e la relativa galleria multimediale sono sempre reperibili sul sito NASA.

Il nostro portale, inoltre, si impegnerà nella miglior copertura possibile dei sei mesi di missione tramite una serie di articoli di approfondimento dedicati, e con la cronaca diretta del lancio e del rientro tramite il podcast AstronautiCAST. Tutti i dettagli sono a vostra disposizione nell’articolo scritto da Paolo Amoroso qualche giorno fa.

Chi è Luca Parmitano?

Nato nel 1976 a Paternò, in Sicilia, Luca è cresciuto sognando di diventare un atleta olimpico o un astronauta. Non ha mai perso di vista i suoi sogni, anche se all’inizio si è dovuto “accontentare” di obiettivi più concreti arruolandosi in Aeronautica Militare come pilota da combattimento, passaggio fondamentale per sperare di accedere successivamente alla carriera di astronauta.

Anche entrare in Aeronautica non è certo cosa facile, con un processo di selezione semestrale non troppo diverso da quello a cui poi dovrà sottoporsi in ESA. Nella classe di Luca, quella del 1994, su 7.000 aspiranti solo 40 riusciranno a ottenere le ali di pilota. Durante il suo addestramento Luca ha appreso l’importanza di dare sempre il meglio di sé, anche se la buona preparazione non è tutto: la fiducia nelle proprie capacità viene anche dall’esperienza e dalla maturità.

L'astronauta Luca Parmitano al Neutral Buoyancy Laboratory della NASA a Houston. Fonte: NASA
L’astronauta Luca Parmitano al Neutral Buoyancy Laboratory della NASA a Houston. Credit: NASA

Dopo sei anni come pilota di caccia, Luca è stato selezionato come pilota collaudatore di elicotteri, iniziando una nuova carriera in Francia. Più o meno nello stesso periodo ha presentato domanda all’ESA per partecipare alla selezione del nuovo corpo astronauti, anche se le circostanze non sembravano le migliori possibili: anche tuti i suoi compagni di squadra avevano inviato le loro domande, e Luca era il più giovane ed inesperto tra loro. Il suo comandante lo spinse ad applicare comunque, visto che non c’era nulla da perdere.
Quando gli esami medici furono superati e Luca entrò nella rosa degli ultimi 22, i suoi sogni cominciarono a sembrare realizzabili, e quando la fatidica telefonata giunse ad annunciare che sì, era stato selezionato, l’emozione fu forte e non riuscì a trattenere le lacrime. Chi gli stava intorno pensò che fossero lacrime di tristezza frutto di un’amara esclusione, ma fortunatamente per lui si trattava del caso opposto!

L'ATV 3 Edoardo Amaldi durante la manovra di attracco alla ISS
L’ATV 3 Edoardo Amaldi durante la manovra di attracco alla ISS. Credit: NASA

Con un percorso durato 4 anni Luca è passato dall’essere un cadetto astronauta ad ingegnere di volo della Sojuz, nonché operatore del braccio robotico della Stazione e “spacewalker” ben addestrato. Il training  all’uso di Canadarm sarà molto utile in quanto i piani prevedono l’arrivo alla Stazione di alcune navette cargo che proprio grazie alla speciale mano robotica possono essere agganciate ai boccaporti: il quarto HTV giapponese, le capsule americane Dragon e Cygnus e per finire l’ATV Europeo Albert Einstein, che approderà automaticamente sul lato russo.

L’astronauta a bordo della ISS deve inoltre saper svolgere molti ruoli diversi anche per la semplice manutenzione della casa orbitante: idraulico, cuoco, addetto alle pulizie e, a volte, turnista per la riparazione del WC spaziale e non ultimo scrittore, visto che Luca terrà aggiornato con regolarità il suo blog TMA-09M – La mia Sojuz.

Quando non in viaggio (sulla Terra o nello spazio) per la sua professione, Luca risiede a Houston, USA, con sua moglie e le sue due figlie.

Il laboratorio orbitale di ricerca Columbus

In primo piano, Columbus fotografato all'esterno della ISS, durante una passeggiata spaziale della missione STS-135
In primo piano, Columbus fotografato all’esterno della ISS, durante una passeggiata spaziale della missione STS-135. Credit: NASA

Volare è la quinta delle missioni ESA di lunga durata (circa 6 mesi) sulla Stazione Spaziale Internazionale. Nel corso dei 166 giorni di missione Luca effettuerà circa 20 esperimenti riguardanti varie aree scientifiche, dalla fisiologia umana alla biologia, dalla fisica dei fluidi alla scienza dei materiali.

La quasi totalità di questi saranno svolti all’interno del modulo europeo Columbus, un vero e proprio laboratorio di ricerca in assenza di peso (principalmente per questa caratteristica si sperimenta nello spazio) che è stato incorporato nella Stazione il 7 febbraio 2008, con la missione dello Space Shuttle Atlantis STS-122.

Il laboratorio Columbus è il contributo singolo più importante di ESA al programma ISS. Lungo circa 6 metri e dal diametro di 4,5, questo modulo cilindrico è equipaggiato da stazioni di ricerca riconfigurabili, che consentono di lavorare nel tempo a esperimenti totalmente diversi. Con una vita programmata di 10 anni, i ricercatori sulla Terra potranno, grazie agli astronauti opportunamente addestrati, progettare e condurre migliaia di  sperimentazioni nell’ambiente unico della microgravità, che solo in una installazione oribitante può essere mantenuto per lunghi periodi di tempo.

Columbus richiede una squadra di controllori di volo dedicata, che diversamente da quello che si potrebbe credere non si trova a Houston ma al GSOC (German Space Operations Centre) di Oberpfaffenhofen, un sobborgo di Monaco di Baviera, in Germania.

In questo video  l’astronauta europeo di nazionalità Olandese André Kuipers ci guida attraverso un tour completo della Stazione, e  spiega davvero tutto su Columbus.

Perché si fa ricerca scientifica nello spazio?

La Stazione Spaziale gode di una caratteristica unica, non riproducibile nei laboratori di ricerca sulla Terra se non per poche decine di secondi: la microgravità. Per comprendere il funzionamento del mondo in cui viviamo, gli scienziati studiano vari fenomeni, e proprio come nella risoluzione di calcoli algebrici, togliere alcuni elementi dall’equazione può aiutare una migliore comprensione dei meccanismi naturali.

Bisogna fare attenzione però: sono in molti a credere, erroneamente, che la forza di gravità non ci sia nello spazio. Proviamo a spiegare intuitivamente il motivo per cui questa idea è sbagliata (per chi cercasse le giustificazioni matematiche, si rimanda all’ottima pagina Wikipedia in inglese): in realtà la forza di gravità esiste in tutto l’universo; quello che succede nella Stazione Spaziale Internazionale è che la forza centrifuga data dalla velocità di rotazione della stessa attorno alla Terra compensa e “annulla”  la forza di gravità generata dal nostro pianeta. Per questo è più corretto parlare di microgravità o assenza di peso.

Soyuz TMA-07M
Sojuz TMA-07M

Gli astronauti e tutti gli oggetti all’interno della stazione si trovano in uno stato di caduta libera “orizzontale”, nel loro moto attorno alla Terra. L’effetto quindi, e anche la “sensazione” fisica provata dagli astronauti è proprio quella di una perpetua caduta in una sorta di “pozzo senza fondo”.

Tornando all’utilità di questa peculiare situazione nella ricerca scientifica, per scoprire ad esempio se una reazione chimica avviene in un certo modo a causa dell’influenza determinante della forza gravità, o della presenza di aria, sarebbe utile tentare di riprodurre la stessa reazione in un laboratorio dove fosse possibile “rimuovere” entrambi i fattori. Se togliere l’aria è facile anche sulla Terra, lo stesso non si può certo dire quando si volesse annullare l’effetto della forza di gravità.

Per questo gli scienziati, che non posseggono tutti il tempo, le risorse e lo stato psicofisico adatto a lunghe permanenze in orbita, preparano esperimenti che saranno gli astronauti a bordo della Stazione a condurre, lasciando agli studiosi sulla Terra il compito di approfondirne i risultati. Per essere all’altezza del compito, una parte importantissima dell’addestramento di Luca Parmitano è stato imparare come gestire correttamente circa 250 esperimenti scientifici: con gli altri astronauti presterà gli occhi, le orecchie e le braccia agli scienziati rimasti a Terra, quando non fungerà direttamente da cavia con il suo stesso corpo.

Il programma scientifico della missione Volare

La missione di Luca Parmitano vedrà il compimento di importanti ricerche nei seguenti campi:

La patch ufficiale di Expedition 36
La patch ufficiale di Expedition 36
  • Fisiologia umana
    • Cartilagini ossee: si vuole comprendere meglio l’effetto della microgravità sulle cartilagini ossee degli astronauti, e se e come la sovraestensione di questi tessuti possa portare danni analoghi a quelli dovuti alla rottura o all’usura artritica sulla Terra.
    • Ritmo cicardiano: il nostro corpo è consapevole, anche se grossolanamente, del momento della giornata in cui ci trvoiamo, inducendo il sonno che ci consente di riposare durante la notte. L’orologio biologico degli esseri umani, insomma, si regola sulle 24 ore terrestri reagendo alla presenza luce solare. Luca sperimenterà 16 albe e 16 tramonti ogni giorno sulla ISS, e studiare la sua reazione a questo ritmo totalmente alieno fornirà importanti informazioni che aiuteranno a comprendere come migliorare la qualità della vita di chi soffre di disturbi del sonno o deve lavorare durante la notte.
    • Dieta: gli studiosi vogliono capire come sia meglio nutrire gli equipaggi di future spedizioni di lunga durata, come ad esempio verso Marte. Durante la missione di Luca saranno accuratamente misurati i consumi energetici e il giusto apporto calorico da fornire ai viaggiatori cosmici per non lasciarli “in riserva” proprio quando un giusto livello di energie è richiesto.
    • Sarcolab: Gli astronauti subiscono una notevole perdita di massa muscolare nello spazio, e per prevenire fenomeni atrofici eccessivi devono esercitarsi ogni giorno con speciali attrezzi ginnici a bordo. I muscoli di Luca saranno analizzati prima, durante e dopo il volo. Gli esiti di questo studio, che prevedono anche l’asportazione di campioni di tessuto muscolare di Luca, porteranno benefici a tutti coloro che sulla Terra sono costretti all’immobilità per un lungo periodo, come le vittime di incidente.
    • Skin-B: la pelle è la nostra interfaccia tattile con il mondo esterno, e con l’età diviene più fragile così come i processi di cicatrizzazione diventano più lunghi. Si è osservato che gli astronauti sperimentano questo “invecchiamento” a velcità maggiore nello spazio. Per questo la struttura, l’elasticità, l’ossigenazione e l’idratazione della cute di Luca sarà studiata, al fine di produrre un modello compiuterizzato dei meccanismi di invecchiamento della pelle.
    • Emicranee spaziali: il 75% degli astronauti soffre di emicranee nello spazio. Alcuni le descrivono come “esplosive” come mai ne avevano provate sulla Terra. Questo studio approfondirà l’evoluzione di queste emicranee tramite la compilazione regolari di speciali questionari, alla ricerca del possibile motivo scatenante.
  • Fisica
    • FASES: si tratta di uno studio che vuole approfondire la fisica delle emulsioni, difficile da approfondire sulla Terra dove la gravità tende a separare le componenti dell’emulsione spingendo la sostanza più densa verso il fondo del contenitore. Un accurato modello della dinamica delle emulsioni sarà molto utile alle industrie per migliorare la qualità dei prodotti.
    • CETSOL-2/MICAST-2/SETA-2: questi tre esperimenti di scienza dei materiali studieranno la cristallizzazione di leghe metalliche grazie alla fornace di bordo, capace di scaldare materiali fino a 1.400 gradi centigradi. I ricercatori esamineranno i “pattern” di crescita delle microstrutture del metallo, andando a complementare alcune simulazioni computerizzate che condurranno ad una produzione più efficiente e qualitativamente migliore di leghe di alluminio, in particolare per l’industria dei trasporti.
    • SODI-DCMIX: Fluidi e gas non sono mai in stato di quiete, anche se osservati a occhio nudo potrebbe sembrare il contrario. Le loro molecole si muovono costantemente e collidono le une contro le altre. Gli scienziati sono interessati a studiare proprio queste dinamiche, per comprendere meglio fenomeni come la velocità di mescolamento di due fluidi, o come il calore si propaghi in un fluido. La ricerca si concentrerà soprattutto sullo studio di questi fenomeni applicati a miscele di diverso tipo.
  • Ambiente
    • DOSIS 3D: il livello di radiazioni sulla ISS è circa 15 volte maggiore di quello sperimentato dalle persona sulla Terra, e quando poi ci si allontana dall’orbita terrestre i rischi dovuti a radiazioni ionizzanti aumenta ancora di più. DOSIS 3D aiuterà a comprendere come le radiazioni penetrano lo scafo della ISS, ottenendo un modello accurato dei livelli nei vari ambienti dell’avamposto orbitante attraverso l’utilizzo di dosimetri attivi e passivi.
    • SOLAR: si tratta di una serie di strumenti posti all’esterno della Stazione Spaziale, sul modulo Columbus, che misureranno l’emissione solare dagli infrarossi agli ultravioletti. Luca sarà sulla ISS proprio durante il periodo di “massimo” solare, in un ciclo che si ripete su base undecennale.
  • Biologia
    • Germinazione di semi: la maggior parte dei vegetali richiedono la luce solare per la loro crescita, ma sulla Stazione dovrebbero “adattarsi” a vivere con 16 albe e 16 tramonti nel giro di 24 ore, senza contare l’assenza di peso. Trovare un’alternativa alla luce solare è importante, soprattutto per le tecniche di coltura in serra che si sviluppano qui sulla Terra. L’esperimento analizzerà come l’Arabidopsis Thaliana reagisce alla luce rossa e alla microgravità. L’Arabidopsis Thalianais è una pianta comune in tutta l’Europa, l’Asia e l’Africa; è anche la prima di cui sia stato totalmente sequenziato il DNA, e questo la rende la candidata ideale visto che i biologi la conoscono perfettamente.

La Stazione Spaziale

La ISS ripresa da Paolo Nespoli. Notare sulla sinistra la presenza dello Shuttle, e a destra ATV e una Sojuz.
La ISS ripresa da Paolo Nespoli. Notare sulla sinistra la presenza dello Shuttle, e a destra ATV e una Sojuz. Credit: NASA

La Stazione Spaziale Internazionale è un particolarissimo laboratorio di ricerca in orbita terrestre bassa, costruita, finanziata e mantenuta principalmente da cinque agenzie spaziali: la statiunitense NASA, la controparte russa RKA, la nostra  ESA, la JAXA agenzia giapponese, e la canadese CSA. Formata da cilindri metallici pressurizzati e da tutti i relativi sistemi tecnici di supporto (tra i quali spiccano gli enormi pannelli solari) misura 110 x 70 metri; la sua orbita è ad una quota che oscilla trai i 278 e 460 km, e per non “ricadere” sulla Terra viaggia all’incredibile velocità di 27 750 km orari circa, pari a poco più di 7 km al secondo.

Con le sue 450 tonnellate di peso, e offrendo agli occupanti un volume abitabile di 350 m3, gira per 15,7 volte al giorno intorno al nostro pianeta, e al suo interno vivono equipaggi di 3-6 astronauti (con punte di 13 durante le missioni Shuttle) dal 2 novembre 2000. Gli astronauti ricevono un cambio di equipaggio ogni 6 mesi circa.

Come si arriva sulla ISS?

Il razzo Sojuz dell’Expedition 33/34 (Novitskiy,Ford,Tarelkin) al decollo lo scorso 23/10/2012. Credits: (NASA/Bill Ingalls)

A differenza di molti suoi predecessori Luca raggiungerà la ISS in tempo record. La sua capsula Sojuz TMA-09M verrà lanciata dallo storico pad 1/5 (lo stesso di Jurij Gagarin) di Bajkonur, in Kazakistan a bordo dell’omonimo razzo vettore.

Il lanciatore Sojuz è un’evoluzione dello stesso razzo utilizzato da Jurij Gagarin per lo storico primo volo in orbita di un essere umano, ed è il frutto della progettazione di una figura ancora poco conosciuta ma estremamente affascinante: l’ingegnere capo del programma spaziale sovietico Sergej Pavlovič Korolëv.

Se tutto procederà come da programma si aggancerà alla ISS dopo sole 6 ore di inseguimento.

Questo profilo di volo è otto volte più veloce di quello usato in precedenza. Se da un lato questo consente agli astronauti di lasciare relativamente in fretta gli angusti spazi delle Sojuz, dall’altro li costringe a stare svegli quasi 24 ore continuate e non lascia margini di tempo per risolvere eventuali problemi senza “mancare” l’aggancio rapido. Ovviamente i tre astronauti a bordo potranno comunque, se necessario, procedere all’avvicinamento con la vecchia metodologia.
Il primo equipaggio a testare la nuova traiettoria di ascesa rapida è sata l’ Expedition 35, composto dai cosmonauti Pavel Vinogradov e Alexander Misurkin, insieme al collega di NASA Christopher Cassidy, nel marzo 2013.

Questo video ci mostra una manovra di attracco spettacolare e molto recente: ecco arrivare la Sojuz TMA-05M lo scorso 14 luglio 2012 con a bordo gli astronauti Malenchenko, Williams and Hoshide (ne consigliamo l’apertura direttamente su Youtube,  impostando la risoluzione a 720p).

La capsula Sojuz (Сою́з)

Le tre componenti della capsula Soyuz
Le tre componenti della capsula Sojuz

Con il nome Sojuz (Unione) si indentificano una serie di veicoli spaziali nati (ancora una volta) dal lavoro del team di Sergej Pavlovič Korolëv per il programma spaziale dell’Unione Sovietica. Concepiti per trasportare gli equipaggi del fallito programma lunare della potenza comunista, furono successivamente utilizzate per portare in orbita i cosmonauti russi, e funsero da veicolo staffetta verso le numerose stazioni spaziali orbitanti russe: le Salyut prima e la Mir successivamente.

Il primo volo con equipaggio si svolse il 23 aprile 1967, ma fu caratterizzato dalla sfortunata morte del cosmonauta Vladimir Komarov, in volo solitario, causata dalla mancata apertura del paracadute. Un’altra disavventura fatale occorse al trio di cosmonauti e Vladislav Volkov, Georgi Dobrovolski, and Viktor Patsayev con la Sojuz-11, nel 1971.

Da allora la capsula non ha più subito incidenti, e pur rimanendo strutturalmente simile all’originale ha subito molti miglioramenti nell’avionica, aggiornata via via alle nuove tecnologie disponibili. La versione della capsula usata da Parmitano è chiamata Sojuz TMA-M, ulteriore sviluppo della Sojuz-TMA, che imbarca un nuovo computer, una serie di schermi digitali, un sistema di aggancio migliorato, il tutto accompagnato da un’alleggerimento della capsula di circa 70 Kg. Questa nuova versione ha debuttato il 7 ottobre 2010, quando venne lanciata la Sojuz TMA-01M per il trasporto dell’equipaggio di Expedition 25 sulla ISS.

Dal 2011, anno in cui è terminato il servizio dello Space Shuttle, in attesa dei velivoli spaziali di nuova generazione, la Sojuz è l’unico veicolo spaziale in grado di trasportare degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Come si torna sulla Terra?

Il rientro avviene nelle steppe del Kazakistan seguendo una procedura relativamente rapida, che si conclude nel giro di 3 ore circa. Questa rapidità però non deve indurre in inganno: molti astronauti hanno descritto l’esperienza del rientro a bordo della Sojuz come l’equivalente di un incidente stradale.

Personale di supporto all'atterraggio della Soyuz TMA-22
Personale di supporto all’atterraggio della Sojuz TMA-22

Poco dopo il distacco dalla ISS, la capsula Sojuz si divide nelle sue 3 parti costituente. Il modulo orbitale (la “testa”) e di servizio (la “coda”) non sono dotati di scudo termico, e bruciano disintegrandosi completamente per l’attrito con l’atmosfera, mentre la sezione centrale, chiamata modulo di discesa, si tuffa negli strati più densi dell’atmosfera. In questi momenti a causa della forte decelerazione gli astronauti subiscono una forza g negativa pari a 4-5g, provando cioè su di sè una sensazione paragonabile ad avere cinque persone dello stesso peso sdraiate sul loro corpo.

Una volta superata la prima fase del rientro, il sistema di paracadute della Sojuz rallenta la corsa fino a circa 30 km/h, e a pochi metri dal suolo una serie di retrorazzi esplosivi entrano in azione, frendando la capsula a soli 5 km/h. Poco prima i seggiolini dell’equipaggio si alzano, portando il viso degli astronauti a sfiorare il quadro comandi e consentendo una completa escursione degli ammortizzatori, che concorrono ad assorbire la forza dell’urto. A rendere più complicata la situazione va considerato che il trio a bordo viene da 6 mesi di assenza di peso, che hanno portato ad un certo indebolimento di ossa e muscoli, e anche il solo atto di respirare costa fatica.

Immediatamente dopo l’atterraggio, l’equipaggio estrae un’antenna radio, in modo tale che i soccorsi possano rintracciare con precisione la loro posizione. Una volta che le squadre di recupero hanno raggiunto la zona di atterraggio, gli astronauti vengono letteralmente estratti “a braccia” dall’interno della capsula e portati in volo a Mosca, dove inizieranno un percorso di riabilitazione e di debriefing.

Il video che segue spiega meglio di ogni descrizione l’arrivo a terra di una Sojuz.


Approfondimento: le tre modalità di rientro con la capsula Sojuz

La Sojuz ha tre differenti tipi di profili di discesa:

  • automatico nominale (Автоматический Управляемый Спуск – Avtomaticheskii Upravlyaemyi Spusk), durante il quale la manovra è costantemente controllata e guidata dal computer di bordo, che si occupa di mantenere puntato verso terra in modo ottimale lo scudo termico, generando un minimo di portanza e assicurando all’equipaggio un’accelerazione negativa di “soli” 4G.
  • automatico balistico (Баллистический Спуск – Ballisticheskii Spusk), che viene automaticamente adottato dal computer di bordo in caso di problemi durante la manovra. In questo regime, già capitato agli equipaggi di Sojuz TMA-1, TMA-10 e  TMA-11, il software di riserva dirige la capsula lungo un più angolato e balistico percorso di rientro, inducendo nel contempo una rotazione della stessa lungo il suo asse longitudinale per “contenere” la forza di decelerazione subita dall’equipaggio entro gli 8.5g.
  • manuale (Ручное Управление Спуском – Ruchnoe Upravlenie Spuskom), nel quale gli astronauti prendono il controllo diretto della manovra e la porta a termne manualmente applicando le procedure sulle quali si sono addestrati per mesi all’interno del simulatore. Una volta selezionata la modalità manuale, la scelta è irreversibile.

Vediamo le fasi che dettagliate della partenza di un equipaggio dalla Stazione Spaziale (ore:min):

  • 00:00 – Comando di separazione – Cominciano ad aprirsi i ganci che per sei mesi hanno tenuto unite la Sojuz e la ISS
  • +00:03 – Separazione fisica dalla ISS – La Sojuz si allontana alla velocità relativa di  0.1 m/s
  • +00:06 – Accensione del sistema RCS – La Sojuz accende per 15 secondi i razzi di manovra per aumentare la distanza dalla Stazione.
  • +02:29 – Accensione di deorbitazione – Quando la Sojuz si trova a circa 19 km dalla ISS, i suoi motori principali ne rallentano la corsa orbitale con un’accensione di almeno 5 minuti
  • +02:57 – Separazione dei moduli – Il modulo orbitale e quello propulsivo si separano dal modulo di rientro.
  • +03:00 – Interfaccia di rientro – Il modulo di rientro della Sojuz incontra i primi strati densi dell’atmosfera, a circa 122 km di altitudine.
  • +03:08 – Apertura dei paracadute, in questa sequenza:
    • Due paracadute pilota
    • Drogue, che rallenta la discesa da 230 m/s a 80 m/s
    • Principale, che frena ulteriormente fino a 7.2 m/s.
  • +03:22 – Preparazione all’atterraggio “morbido” – Sei motori di atterraggio si accendono, abbassando la velocità di contatto col suolo a 1.5 m/s quando la capsula è a 1 metro da terra.
  • +03:23 – Contatto! – La Sojuz è tornata a casa.

Approfondimento: altri video interessanti

Il lancio (diurno) della Sojuz TMA-07M con commento originale in russo.

Come si “porta” in rampa di lancio un razzo? Con la pragmaticità russa, si va in… treno!

In questa ricostruzione al computer  realizzata dal gruppo di Orbiter Italia Forum in occasione del lancio di Paolo Nespoli (cui esprimiamo nuovamente i nostri ringraziamenti), possiamo rivivere le fasi salienti del “docking” di una Sojuz alla ISS.

Questo filmato vede protagonista uno degli astronauti più esperti dei ranghi di NASA, Mike E. Fincke, dall’alto delle sue due missioni a bordo di una Sojuz illustra in modo estremamente dettagliato il pannello comandi di una capsula Sojuz.

Qui vediamo il rientro di Paolo Nespoli, che (giustamente) molto provato, data anche la sua statura. Inopinatamente un parcheggio non troppo intelligente da parte di un membro della squadra di recupero nasconde il momento del contatto col suolo.

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Marco Zambianchi

Spacecraft Operations Engineer per EPS-SG presso EUMETSAT, ha fatto parte in precedenza dei Flight Control Team di INTEGRAL, XMM/Newton e Gaia. È fondatore di ForumAstronautico.it e co-fondatore di AstronautiCAST. Conferenziere di astronautica al Planetario di Lecco fino al 2012, scrive ora su AstronautiNEWS ed è co-fondatore e consigliere dell'associazione ISAA.