La NASA testa droni nella Death Valley

I ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della NASA, nel Sud della California, monitorano un drone di ricerca nell’area delle Dumont Dunes, nel deserto del Mojave, durante una campagna di test svolta a settembre per sviluppare un software di navigazione destinato a guidare i futuri velivoli a rotore su Marte. Credit: Nasa

Probabilmente tutti ricordano Ingenuity, uno dei progetti più piccoli – anche in termini di budget – della NASA che si è però trasformato in uno dei più grandi successi dell’esplorazione marziana, distinguendosi per i risultati scientifici, l’utilità operativa e la straordinaria resilienza alle dure condizioni del pianeta rosso.

Ingenuity non è stato soltanto un trionfo ingegneristico: è stato una dimostrazione di possibilità. Ha provato che il volo controllato è realizzabile nella tenue atmosfera marziana, dove la pressione al suolo, mediando le variazioni stagionali, è di circa 7 millibar, appena 1160\frac{1}{160} di quella terrestre. Ha avvalorato come la prospettiva aerea possa offrire un valore scientifico e operativo enorme, aprendo la strada a una nuova generazione di esploratori robotici capaci di osservare Marte da un punto di vista completamente nuovo.

Il drone Ingenuity fotografato dallo strumento Mastcam-Z del rover Perseverance il 16 aprile 2023. Credit: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS

Anni dopo, e con ogni probabilità senza aver mai interrotto la ricerca in questo settore, la NASA torna a presentare una nuova generazione di droni testati tra le sabbie della Death Valley, al confine tra California e Nevada. Questi droni rappresentano solo una delle 25 tecnologie che l’Agenzia sta sviluppando e collaudando quest’anno per l’esplorazione del pianeta rosso.
Ma di quali tecnologie si tratta? Si va da software avanzati di navigazione autonoma, a robot quadrupedi capaci di scalare pendii, fino ad alianti a lunga distanza progettati per sorvolare Marte.

Al centro di questo sforzo c’è il progetto Extended Robust Aerial Autonomy (ERA), sostenuto da intense campagne sperimentali di prova nei deserti californiani. Accanto a esso procedono altri sviluppi paralleli, come la robotica a zampe con il progetto LASSIE e il volo a lungo raggio con il sistema MERF, che insieme delineano il futuro dell’esplorazione marziana.

Per sviluppare nuove tecnologie destinate a Marte, gli ingegneri della NASA devono prima ricreare sulla Terra condizioni il più possibile simili a quelle del pianeta in oggetto. Solo in questo modo è possibile testare, correggere e ripetere, affinando ogni dettaglio prima di inviare una tecnologia a milioni di chilometri di distanza. Per questo motivo, un team del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, nel Sud della California, ha portato diversi droni di ricerca nel Death Valley National Park e nel deserto del Mojave, ricreando le condizioni ideali per migliorare il software di navigazione e effettuare test vari di ricerca.

I ricercatori del JPL sotto una tenda nel Death Valley National Park mentre monitorano le prestazioni del drone di ricerca equipaggiato con software di navigazione per Marte. Credit: NASA/JPL-Caltech

Partendo dai droni, il progetto Extended Robust Aerial Autonomy è una delle 25 nuove tecnologie finanziate dal Mars Exploration Program in fase di sviluppo. Il suo obiettivo è migliorare le capacità di volo dei futuri velivoli marziani. Infatti, basandosi sull’esperienza con Ingenuity, si è dimostrato che il software, o meglio l’algoritmo di navigazione, può entrare in difficoltà quando sorvola terreni uniformi e privi di punti di riferimento. Ingenuity era stato progettato per volare sopra superfici ben strutturate, stimando il proprio movimento attraverso le caratteristiche visive riconoscibili al suolo. Tuttavia, però, in alcune aree questa tecnica è risultata meno efficace.

Uno dei principali problemi del volo su Marte riguarda la navigazione in ambienti privi di punti di riferimento, dove i sistemi visivi rischiano di fallire. Sul pianeta rosso, infatti, non esiste un sistema GPS in grado di triangolare la posizione del veicolo, né è possibile fare affidamento su magnetometri per l’orientamento, poiché Marte non possiede un campo magnetico globale stabile. Per questo motivo l’ambiente viene definito GPS-denied, ovvero privo di segnale di navigazione satellitare.

La navigazione dei droni marziani si basa quindi su sistemi di visione, che possono incontrare difficoltà su terreni uniformi come dune di sabbia, superfici omogenee o aree prive di strutture orografiche riconoscibili. Qui si apre una breve parentesi tecnica sulla odometria visivo-inerziale: un metodo con cui il computer di bordo combina i dati provenienti dalla IMU (unità di misura inerziale), che acquisisce ad alta frequenza accelerazioni lineari e velocità angolari, con le informazioni della camera di navigazione, la telecamera rivolta verso il basso che cattura immagini del terreno. Attraverso specifici algoritmi, il sistema confronta le immagini nel tempo per stimare come il drone si è mosso, sfruttando lo storico visivo, e unisce queste informazioni ai dati inerziali per ricostruire l’orientamento e la traiettoria.

Questi sistemi, tuttavia, non sono privi di errori. Le difficoltà nel riconoscere punti di riferimento affidabili hanno infatti causato problemi di orientamento durante diversi degli ultimi voli di Ingenuity, incluso il 72o, il suo volo finale sul pianeta rosso.

Come sottolinea Roland Brockers, ricercatore del JPL e pilota di droni: «Vogliamo che i veicoli futuri siano più versatili e non debbano preoccuparsi di sorvolare zone impegnative come queste dune di sabbia».

I test hanno già prodotto risultati significativi, tra cui una migliore comprensione di come diversi filtri delle telecamere permettano ai droni di tracciare il terreno con maggiore precisione. Grazie ai nuovi algoritmi, più avanzati rispetto alle versioni precedenti, i droni possono orientarsi autonomamente, identificare zone sicure e atterrare in modo affidabile anche in aree complesse che riproducono le condizioni del terreno marziano.

Le prove sul campo vengono considerate indispensabili e molto più complete rispetto ai soli modelli digitali o alle immagini satellitari limitate. Lo sottolinea anche Nathan Williams del JPL, geologo del team ed ex operatore di Ingenuity, ricordando che le caratteristiche scientificamente interessanti non si trovano sempre nei luoghi più facili: spesso è necessario esplorare terreni complessi per addestrare i sistemi e prepararli alle difficoltà reali che li attendono su Marte, proprio come è accaduto con Ingenuity.

Il deserto della California non è stato l’unico scenario a ospitare test per le tecnologie marziane quest’anno. Ad agosto, infatti, i ricercatori del Johnson Space Center della NASA, a Houston, si sono spostati nel White Sands National Park del New Mexico, un altro storico sito di sperimentazione dell’Agenzia.

Qui sono stati testati anche i robot-cane chiamati LASSIE-M (Legged Autonomous Surface Science in Analogue Environments for Mars). La grande innovazione tecnica di LASSIE è l’uso delle sue zampe come sensori geotecnici: i motori integrati in ogni arto misurano le proprietà fisiche del terreno e, combinati con altri dati, permettono al robot di adattare l’andatura quando incontra superfici più morbide, più friabili o più compatte, variazioni che spesso indicano cambiamenti geologici di notevole interesse scientifico.

Robot-cane LASSIE-M “a quattro zampe” addestrati da USC, UPenn, Texas A&M, Oregon State, Georgia Tech, Temple University e dal NASA Johnson Space Center per esplorare crateri lunari e terreni planetari estremi.

La NASA riconosce da tempo che le ruote, pur essendo affidabili, hanno raggiunto i loro limiti operativi. Gli attuali rover non possono scalare pendii superiori a circa 20–25 gradi su sabbia soffice senza rischiare l’insabbiamento definitivo, come accaduto al rover Spirit. L’obiettivo del team è sviluppare un robot in grado di affrontare terreni rocciosi o sabbiosi (entrambi potenzialmente pericolosi per un rover) e di agire come esploratore avanzato, aprendo la strada sia agli esseri umani sia ad altri robot grazie a strumenti capaci di identificare nuove opportunità scientifiche.

Infine, tra i progetti finanziati quest’anno dal Mars Exploration Program troviamo anche un nuovo drone autonomo basato su un’ala unica ottimizzata per massimizzare autonomia ed efficienza. Si tratta del MERF (Mars Electric Reusable Flyer), concepito come un’unica ala dotata di due eliche che permettono sia il decollo verticale sia il volo stazionario. Durante il volo ad alta velocità, gli strumenti installati sulla parte inferiore dell’ala possono mappare la superficie con grande precisione.

Prototipo in scala 1:2 di MERF esposto al Langley Research Center. Credit: NASA

A dimensioni reali, il MERF raggiunge una lunghezza paragonabile a quella di un piccolo scuolabus. Gli ingegneri del Langley Research Center stanno attualmente testando un prototipo in scala 1:2, facendolo volare nei campi del campus in Virginia per studiare l’aerodinamica del velivolo e i materiali ultraleggeri impiegati, elementi fondamentali per poter operare nella tenue atmosfera marziana. Tutte queste tecnologie e sperimentazioni, considerate nell’insieme, aprono la strada a nuove possibilità per l’esplorazione del pianeta rosso e delineano il futuro delle missioni NASA su Marte.

Fonti: Techport NASA, JPL

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