Metano combustibile dall’anidride carbonica, una sfida per due pianeti

Hot fire test di un propulsore BE-4 (methalox). Credits: Blue Origin

Con l’introduzione di nuovi processi torna in auge la metanazione, cioè la conversione elettrochimica dell’anidride carbonica in metano, che trasforma un problema, la CO₂, in una risorsa: il metano, come fonte di energia facilmente immagazzinabile sia sulla Terra che su Marte.

La reazione di Sabatier, dal nome del chimico e premio Nobel francese Paul Sabatier che per primo la studiò alla fine del 1800, nel corso dei decenni ha avuto successi altalenanti dovuti alla difficoltà di trovare un compromesso stabile ed efficiente tra temperatura, pressione, catalizzatore, supporto e promotore.
La reazione di metanazione, CO₂ + 4H₂ → CH₄ + 2H₂O, di cui ancora non sono completamente noti tutti i passaggi intermedi, vede reagire anidride carbonica e idrogeno in presenza di un catalizzatore a temperature e pressioni elevate, producendo metano, acqua e calore.
In ambito spaziale la reazione di Sabatier è attualmente utilizzata sulla ISS per produrre acqua, evitando ogni anno di inviarne in orbita più di 900 kg. Il processo utilizza la CO₂ prodotta dalla respirazione dell’equipaggio, l’idrogeno che è un prodotto di scarto del sistema di generazione dell’ossigeno (OGS) e l’energia elettrica prodotta dai grandi moduli fotovoltaici. Non avendo un utilizzo specifico, i circa 450 kg di metano prodotti ogni anno vengono quindi espulsi fuoribordo insieme ad altri gas in eccesso.

6 maggio 2021, Starship SN15 ripresa pochi istanti prima dell’atterraggio. Credits: SpaceX

In questi ultimi due anni il metano è entrato nelle cronache aerospaziali grazie alle imprese delle navicelle sperimentali Starship di SpaceX che, grazie ai propulsori riutilizzabili Raptor, hanno compiuto alcuni test di volo superando anche i 12 km di quota. Altre aziende e agenzie hanno scelto il metano come combustibile per i propri razzi: Rocket Lab con il propulsore Archimedes per il vettore Neutron; Blue Origin con il propulsore BE-4 per il proprio vettore New Glenn e il Vulcan di ULA; ESA con il Prometheus per Themis, Ariane 6 e Ariane Next; Roskosmos con l’RD-0169 per il Sojuz-7 Amur; una serie di piccole nuove start-up commerciali e nel recente passato anche NASA con l’RS-18 per il modulo lunare LSAM del defunto programma Vision for Space Exploration del 2004. Va comunque ricordato che, ad oggi, nessun propulsore methalox (metano e ossigeno liquido) ha mai compiuto un volo suborbitale né tantomeno è arrivato in orbita.

Sulla Terra è dato certo che la concentrazione della CO₂ in atmosfera è aumentata del 40% dal 1750, quindi prima della rivoluzione industriale, passando da ~280 ppm (parti per milione) alle attuali ~410 ppm.
È anche ormai assodato che la causa di questo aumento è di origine antropica, principalmente risultante dalla combustione di carbone, petrolio e gas a servizio dei settori dell’energia, trasporti e produzione industriale. Parallelamente alla crescita del settore delle energie rinnovabili, diventa imperativo sviluppare anche tecnologie che sottraggono CO₂ dall’atmosfera, non solo per immetterla in pressione nel sottosuolo dove viene mineralizzata trasformandosi in rocce calcaree, ma anche per produrre combustibili come il metano.
Il primo impianto attivo su scala industriale realizzato a questo scopo è quello dell’azienda automobilistica Audi AG a Werlte in Germania. Alimentato esclusivamente da energia eolica, utilizzando CO₂ di scarto di un adiacente impianto di biogas e idrogeno prodotto elettroliticamente dall’acqua, l’impianto produce metano combustibile per la locale rete di rifornimento stradale.

Il tweet dello scorso 13 dicembre Elon Musk.

Recentemente il fondatore di SpaceX Elon Musk ha annunciato l’inizio di un programma per la produzione di metano, usato dai propulsori Raptor del razzo Starship in corso di sviluppo, a partire dall’anidride carbonica atmosferica. Una scelta obbligata per SpaceX, se si considera che per ogni volo di Starship saranno necessarie 1.000 tonnellate di metano (750 per il booster + 250 per la navicella), pari a 151 autocisterne (113 + 38). Ragionando poi in ottica marziana, che rimane sempre l’obbiettivo finale di Musk, la capacità di avere sul pianeta un impianto per la produzione di combustibile dalla CO₂ atmosferica (96%), consentirebbe di effettuare il viaggio di andata senza avere a bordo anche il metano combustibile per il ritorno.

Negli ultimi decenni vari gruppi di ricerca hanno ripreso lo studio della metanazione e i suoi processi per far fronte a due problemi: l’aumentare della concentrazione della CO₂ nella nostra atmosfera e la produzione di combustibile. Naturalmente la metanazione diventa sostenibile sia dal punto di vista ambientale sia economico quando l’energia necessaria a iniziare la reazione e l’idrogeno reagente vengono prodotti da fonti rinnovabili pulite, innescando quindi un ciclo virtuoso dell’anidride carbonica.

Quello che i nuovi studi stanno cercando di superare è il limite degli attuali catalizzatori necessari per promuovere la reazione. Tipicamente vengono utilizzati catalizzatori metallici composti da una fase attiva, principalmente di nichel, rame, ferro, cobalto, palladio, rutenio, rodio, platino, molibdeno e tungsteno sostenuti da un materiale di supporto composto da ossido e carburo di silicio o ossidi di alluminio, cerio, titanio e zirconio.
Temperatura, pressione e stato fisico sono fattori cruciali per questi catalizzatori che altrimenti gradualmente vanno a inibire la reazione dando luogo a problemi di selettività, formazione di sottoprodotti tossici, formazione di altri idrocarburi diversi dal metano e in generale scarsa efficienza.

Tra i recenti studi a riguardo spicca quello della Waseda University di Tokyo che, grazie a nanoparticelle di ossido di cerio e un catalizzatore al rutenio, realizza la reazione di Sabatier a temperature nell’ordine dei 100 °C, quindi 4 volte inferiori allo standard.
Sempre con un catalizzatore al rutenio Il Pacific Northwest National Laboratory di Richland nello stato di Washington (USA) ha invece ottenuto buoni risultati a temperature leggermente più alte utilizzando un solvente amminico miscelato in acqua.
Una nuova via si è però aperta con l’introduzione di catalizzatori a base di nanostrutture di carbonio, che notoriamente non è un elemento catalizzante, caratterizzate dal basso costo di produzione, elevatissima superficie di reazione, esenti da metalli e non inquinabili dai sottoprodotti di reazione.
Tra le varie nanostrutture a base di carbonio sperimentate, quella che sembra dare migliori risultati è il graphene quantum dots (GQD), una o più strutture bidimensionali di grafene dello spessore di un atomo e sovrapposte in fogli.
Un gruppo di ricerca sino-statunitense nato dalla collaborazione della University of Cincinnati in Ohio, la Rice University di Houston e l’Università di Shanghai, che sta lavorando proprio con il GQD, ha recentemente pubblicato uno studio in cui dimostra l’efficacia di questo catalizzatore sotto corrente elettrica, ottenendo rese 100 volte superiori a quelle di un decennio fa, inserendo nella struttura atomi di azoto o ossigeno che fungono da siti attivi elettrondonatori.

Un prototipo di reattore GQD in mano al prof. Jingjie Wu. Credits: Andrew Higley/University of Cincinnati

La metanazione però non è solo una prerogativa della ricerca scientifica umana; non sorprende che anche la natura, con i suoi miliardi di anni di pazienti esperimenti è in grado di trasformare grazie all’attività batterica l’anidride carbonica in metano, come descritto in un recente articolo pubblicato da ricercatori della University of Oxford in Gran Bretagna.
Il giacimento petrolifero Olla Oil Field, in Louisiana (USA), negli anni ’80 venne messo in pressione con CO₂ per favorire l’estrazione del greggio e dopo qualche anno venne chiuso e dismesso. Campioni di gas presi recentemente dalla flangia di testa del pozzo, hanno però rivelato che, grazie alla combinazione favorevole di presenza di acqua, salinità, pH, temperatura e pressione, parte della CO₂ (13–19%) era stata convertita in metano dall’attività di batteri idrogenotrofi metanogenici.

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Simone Montrasio

Appassionato di astronautica fin da bambino. Dopo studi e lavoro nel settore chimico industriale, per un decennio mi sono dedicato ad altro, per inserirmi infine nel settore dei materiali compositi anche per applicazioni aerospaziali. Collaboro felicemente con AstronautiNEWS dalla sua fondazione.