Ritrovata parte dei dati originali degli esperimenti lunari ALSEP

Apollo 15, in primo piano il modulo centrale con i cavi di alimentazione e dati verso gli strumenti ALSEP. Credit: NASA.

Un gruppo di ricercatori ha recentemente messo a disposizione della comunità scientifica i dati grezzi, considerati persi, di 440 nastri magnetici provenienti dalle 5 postazioni ALSEP delle missioni Apollo, inerenti il periodo aprile/giugno 1975.

Dal novembre 1969 con la missione Apollo 12, al dicembre 1972 con Apollo 17, con l’esclusione di Apollo 13 che tornò a casa senza aver effettuato l’atterraggio sulla Luna, gli astronauti statunitensi installarono sulla superficie lunare una serie di postazioni chiamate ALSEP (Apollo Lunar Surface Experiments Package), alimentate da un piccolo generatore termoelettrico a radioisotopi (RTG), che ininterrottamente inviarono dati a terra fino al 1977.

I sei siti di atterraggio delle missioni Apollo. Credit: NASA.

Ogni postazione ALSEP (Apollo Lunar Surface Experiments Package), oltre al generatore RTG e al modulo centrale di distribuzione dell’energia e ricezione/invio dati, consisteva in una serie, differente per ogni missione, di sismografi (passivi e con cariche esplosive), rilevatori di particelle cariche, misuratori termici di superficie, riflettori laser passivi, rilevatori di micrometeoriti e polveri lunari, misuratori di gravità, misuratori del campo magnetico e spettrografi per lo studio del vento solare.
Ogni strumento lasciato sulla Luna continuò a operare ben oltre le aspettative dei progettisti e ricercatori e, quando il programma venne terminato il 30 settembre 1977, circa un terzo del totale era ancora attivo.
A differenza dalle altre, la missione Apollo 11 lasciò sulla superficie solo due strumenti EASEP (Early Apollo Scientific Experiments Package), di cui il sismografo, alimentato dall’energia del sole, trasmise a Terra dati per 21 giorni.

Il programma ALSEP, con le sue cinque postazioni operative mediamente per 5 anni sul lato visibile della Luna, è stata un’opportunità unica per lo studio geofisico dell’ambiente lunare e mai più ripetuta.
Ancora oggi, con un diffuso interesse internazionale per un ritorno umano sulla Luna, i dati provenienti dalle postazioni ALSEP, analizzati e interpretati con nuove tecniche, sono al centro di numerosi studi scientifici e nuove scoperte.

Il Prof. Seiichi Nagihara, a capo del gruppo di ricercatori. Credit: Texas Tech University.

ALSEP Data Recovery Focus Group

Il lavoro dell’ALSEP Data Recovery Focus Group è iniziato nel 2010 con il supporto del NASA Lunar Science Institute, per opera di un gruppo di ricercatori guidati da Seiichi Nagihara del Department of Geosciences della Texas Tech University di Lubbock (USA), a cui si aggiunsero anche dei volontari senior che negli anni ’70 erano coinvolti nel programma. Obbiettivo del gruppo era quello di rintracciare, recuperare, catalogare e rendere disponibile l’enorme mole di dati nel formato grezzo originale e considerati completamente perduti.
Infatti all’epoca, a causa di una scelta dirigenziale errata e poco lungimirante sull’importanza dei dati raccolti, venne deciso di non salvare e archiviare i dati grezzi provenienti dalle postazioni lunari ma distribuirli direttamente, man mano che venivano ricevuti, ai vari Principal Investigator (PI) responsabili di ciascuno strumento in un dato periodo in vari istituti di ricerca.

Successivamente, terminato il proprio lavoro, ogni PI ha quindi riconsegnato solo piccole porzioni di dati processati, quelle che interessavano le proprie ricerche, che sono state archiviate in vari formati disomogenei presso il NASA Space Science Data Coordinated Archive (NSSDCA), unitamente al materiale informativo e descrittivo. Purtroppo la maggior parte dei dati originali è quindi rimasta inutilizzata su nastri magnetici, che sono stati riscritti, buttati o andati perduti nel corso dei decenni successivi man mano che il PI responsabile cambiava istituto di ricerca o andava in pensione senza lasciare nessuna traccia scritta sulla presenza dei nastri.

Un altro importante impedimento al successivo utilizzo dei dati ALSEP è la quasi totale mancanza di metadati a cui fare riferimento: l’ordine cronologico di ricezione, l’organizzazione dei bit nelle trasmissioni e i metodi di riduzione e processo dei dati, nelle pubblicazioni scientifiche prodotte dai PI.

L’odissea dei dati ALSEP

I dati digitali in modulazione a impulsi codificati (PCM) venivano ricevuti dalle stazioni NASA che seguivano le missioni con equipaggio, salvati direttamente in loco su nastri analogici magnetici a 7 o 14 tracce denominati Range Tapes e spediti fisicamente al Manned Spacecraft Center (MSC), di Houston in Texas, rinominato nel 1973 Johnson Space Center (JSC).

Un Range Tape del 1976. Credit: University of Texas Institute of Geophysics.

Al JSC i dati di ogni range tape venivano estratti e separati per ciascun esperimento – ogni postazione ALSEP aveva diversi esperimenti – e riscritti su nastri a 7 tracce, denominati PI Tapes, che venivano quindi spediti ai vari PI per le loro ricerche.

Nell’aprile 1973 il JSC iniziò a salvare su nastri a 7 tracce, denominati ARCSAV (ARChived ALSEP 24-hour time-edited SAVe tapes) i dati grezzi giornalieri di ciascuna stazione, comprendenti quindi tutti gli strumenti di quel sito di atterraggio. Tutti i contratti, tranne uno, di fornitura dei dati ai vari PI terminarono entro l’estate 1975 ma il JSC proseguì comunque con la produzione dei 5 nastri ARCSAV giornalieri fino al febbraio 1976, per un totale che supera le 5.000 unità.

Nel marzo 1976 il compito di archiviare i dati grezzi venne assunto dal Geophysics Laboratory della University of Texas di Galveston che, fino alla conclusione del programma ALSEP (30 settembre 1977), produsse nastri magnetici a 9 tracce chiamati Work Tapes, che fortunatamente sono arrivati tutti integri fino ai giorni nostri.
Nello stesso periodo il Geophysical Data Evaluation Working Group del JSC si espresse sulla questione dell’archiviazione dei dati, concludendo che:

NASA dovrà archiviare, a beneficio di ulteriori studi, solo i dati ridotti e processati dai PI; non sarebbe né pratico né conveniente, nella maggior parte dei casi, distribuire i dati grezzi dei Range Tapes.

Come già detto i dati riconsegnati per l’archiviazione presso l’NSSDCA erano solamente una minima parte di quelli grezzi totali, alcuni erano solo documenti cartacei o salvati su microfilm e in ogni caso, a causa delle scadenze dei contratti, gli ultimi 2 anni non sono mai stati processati e archiviati.

A fine ’77 quindi la situazione era di migliaia di nastri, tra originali, riversati e processati, sparsi in una moltitudine di istituti di ricerca e centri NASA.
I Range Tapes provenienti dalle varie stazioni di ricezione, secondo le ricerche del team, sono stati riciclati per altri utilizzi presso il NASA Goddard Space Flight Center (GSFC) di Greenbelt nel Maryland, anche se alcuni documenti riportano che tutti quelli antecedenti l’aprile 1973 erano stati catalogati e archiviati, ma la loro destinazione e ubicazione non è risultata corretta.
I PI Tapes, come già detto, in parte sono stati riconsegnati alla NASA e archiviati in vari formati e presso l’NSSDCA; in seguito sono stati digitalizzati e archiviati nuovamente nel nuovo formato. Il resto dei PI Tapes mancanti è andato distrutto o è ancora in qualche magazzino non catalogato.

Nel 2010, all’inizio della ricerca dei nastri da parte dell’ALSEP Data Recovery Focus Group, tutti gli oltre 5.000 nastri ARCSAV erano mancanti e considerati persi. Fortunatamente alcuni anni prima però Stan Lebar, che negli anni ’60 dirigeva il team della Westinghouse Electric Corporation che realizzò la telecamera che catturò le immagini di Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna, mentre era alla ricerca dei filmati originali presso il Washington National Records Center (WNRC) di Suitland nel Maryland, vide delle scatole etichettate “Apollo-ALSEP”. Quando nel 2010 Lebar venne a conoscenza del gruppo di ricerca ALSEP, si ricordò delle scatole e li informò su dove trovarle.
Confrontando i cataloghi tra il WNRC, il JSC a Houston e il NASA Headquarters a Washington, furono rinvenuti 440 nastri ARCSAV presso il WNRC, che coprivano il periodo tra l’aprile e giugno 1976. I documenti d’archivio mostrarono anche che tutti gli altri nastri, quindi più di 4.600, vennero ritirati da qualcuno interno al JSC nei primi anni ’80, senza però altri dettagli. Ulteriori ricerche al JSC di Houston non hanno portato a nessun nuovo ritrovamento.

Architettura, recupero ed elaborazione dei dati grezzi

Conoscendo la procedura per interpretare i dati binari contenuti sui nastri grazie a vari documenti della Lockheed Electric Company, tra il 2013 e il 2017 l’ALSEP Data Recovery Focus Group ha lavorato con tre differenti aziende private di recupero dati.
In ogni nastro erano presenti i dati giornalieri di una postazione in ordine cronologico, quindi con i pacchetti di ogni strumento di quella postazione mischiati tra loro. 24 ore di dati erano composte da 143.100 cicli di trasmissione (frame): ogni frame consisteva in pacchetti di dati di tutti gli strumenti presenti, con frequenza di campionamento ogni 0,604 secondi. I pacchetti di ogni strumento singolo sono chiamati word e ogni word è lunga 10 bit.

Le tre aziende di recupero dati hanno utilizzato procedure e hardware differenti, non rese pubbliche, nel loro lavoro. Alcuni nastri sono stati sottoposti a recupero a più di una azienda, ottenendo gli stessi risultati.
Dato che i 440 nastri ARCSAV si erano abbastanza degradati in questi 40 e rotti anni, una considerevole quantità di errori bit è stata rilevata; inversione, spostamento, mancanza, ripetizione, divisione o giunzione, ma grazie alla conoscenza dell’architettura iniziale dei dati, a poco a poco il team è stato in grado di riconoscere gli errori e sviluppare dei codici in linguaggio Fortran per rilevarli e correggerli.

Prima di procedere con l’interpretazione, i dati grezzi corretti sono stati salvati e archiviati presso l’NSSDCA e il Planetary Data System (PDS).
A corredo dei dati grezzi il team ha anche scansionato otticamente e digitalizzato decine di migliaia di pagine di documenti dell’epoca e riformattato i dati consegnati dai PI alla NASA alla scadenza dei loro contratti.

Cronologia dello stato dei dati per ogni missione e strumento. La freccia AZZURRA indica il periodo di operatività. In VERDE SCURO i dati restituiti dai PI alla metà degli anni ’70. In VERDE TRATTEGGIATO i dati non su nastro magnetico. In ROSSO i dati estratti dai 440 nastri ARCSAV. In ARANCIONE i metadati incompleti dei PI riprocessati. Credit: S. Nagihara et al.

Un primo livello di interpretazione è stato ottenuto dividendo i dati per ciascuno strumento, convertendoli in formato ASCII e archiviandoli presso il PDS.
Per due strumenti, gli Heat Flow Experiment (HFE) delle missioni Apollo 15 e 17, grazie a informazioni ottenute da persone coinvolte nel programma originale che sono state ancora in grado di fornire indicazioni riguardanti la calibrazione degli strumenti e la riduzione dei dati, è stato possibile procedere a un secondo livello di interpretazione di facile lettura scientifica.
Per gli altri, non avendo informazioni dettagliate sulle apparecchiature, è stato deciso di non procedere al secondo livello di interpretazione.

Dopo questi primi risultati l’ALSEP Data Recovery Focus Group si è rimesso al lavoro alla ricerca di ulteriori nastri da recuperare, per cercare e visualizzare i dati grezzi. Per chi fosse interessato, siti di riferimento sono: NSSDCA e PDS.

Fonte: Science Direct

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Simone Montrasio

Appassionato di astronautica fin da bambino. Dopo studi e lavoro nel settore chimico industriale, per un decennio mi sono dedicato ad altro, per inserirmi infine nel settore dei materiali compositi anche per applicazioni aerospaziali. Collaboro felicemente con AstronautiNEWS dalla sua fondazione.