Peggy Whitson, l’astronauta dei record, lascia la NASA

Credit: Roscosmos

Lo scorso 15 giugno la NASA ha annunciato il ritiro di Peggy Whitson, l’astronauta che, ad oggi, ha trascorso nello spazio più tempo di qualunque altro statunitense, ma che, come rivela l’enfasi non di circostanza delle parole di commiato dell’Amministratore Jim Bridenstine, merita di essere ricordata per ben altri meriti.

Peggy Whitson è una testimonianza dello spirito americano. La sua determinazione, la forza interiore, il carattere e la dedizione alla scienza, all’esplorazione e alla scoperta sono un’ispirazione per la NASA e l’America. Abbiamo un enorme debito nei suoi confronti per il suo servizio e lei ci mancherà. La ringraziamo per quanto ha fatto per la nostra agenzia e per il nostro Paese.

Una vita alla NASA

Nell’agenzia spaziale americana la Whitson ha trascorso praticamente tutta la sua carriera lavorativa. Nata a Beaconsfield, nelle campagne dello Iowa 58 anni fa, ha subito maturato un interesse per le scienze che l’ha portata a laurearsi in Biochimica presso la Rice University di Houston nel 1985.

Dal campus ove Kennedy pronunciò uno storico discorso sulla conquista della luna alla sede del Johnson Space Center il passo è breve e Peggy lo compì immediatamente, iniziando a collaborare a varie ricerche NASA in ambito medico, biologico e genetico, mentre ricopriva incarichi di docenza universitaria.

In questa prima fase della sua carriera, tra 1992 e 1995 divenne Project Scientist del programma Shuttle-Mir (STS-60, STS‑63, STS-71, Mir 18 e Mir 19) e, tra 1995 e 1996, vicepresidente del Mission Science Working Group russo-americano.

In realtà, sin dall’infanzia, Peggy Whitson aspirava ad altro. Dal 1986 aveva iniziato a partecipare a tutte le selezioni di astronauti della NASA e, dopo dieci anni, la sua determinazione fu finalmente premiata. Al quinto tentativo (anche questo è probabilmente uno dei suoi record) fu ammessa a far parte del Gruppo 16 del 1996 (“The Sardines”), composto di ben 44 candidati tra cui il nostro Guidoni.

I 44 candidati astronauti del gruppo 16 del 1996. Peggy Whitson è la quarta da sinistra dell’ultima fila Credit: NASA

Trascorsi due anni di training, la Whitson fu assegnata all’Operations Planning dell’Astronaut Office e, in seguito anche grazie alle precedenti esperienze, guidò il Crew Test Support Team in Russia.

665 giorni nello spazio

La sua prima assegnazione a un volo arrivò nel 2002, quando fu parte dell’Expedition 5 (184 giorni e 22 ore, dal 5 giugno al 7 dicembre). Peggy arrivò sulla stazione spaziale a bordo di STS-111 e ritornò con STS-113, compiendo entrambi i voli sullo Space Shuttle Endeavour.

La ISS fotografata dallo Shuttle Atlantis nell’aprile del 2002, poche settimane prima dell’arrivo dell’Expedition 5. Credit: NASA

Durante la missione, l’astronauta americana partecipò alla costruzione della Stazione Spaziale con l’installazione attraverso il braccio robotico del Mobile Base System (ossia la base mobile del Canadarm2) e dei segmenti S1 e P1 del Truss. Ebbe anche l’opportunità della sua prima EVA. Indossando una tuta russa Orlan (nelle prime fasi di vita della ISS questa esperienza capitava anche ad astronauti americani), lavorò al fissaggio di alcuni pannelli protettivi sul modulo Zvezda.

Peggy Whitson nella tuta Orlan-M con cui effettuò la sua prima EVA di 4 ore e 32 minuti il 16 agosto 2002. Credit: NASA

Il Dottor Whitson diede anche il suo contributo alla ricerca scientifica, negli spazi ancora ridotti della stazione del tempo, lavorando a vari esperimenti e installando il Microgravity Sciences Glovebox (un ambiente isolato in cui gli astronauti possono compiere varie manipolazioni attraverso appositi “guanti”) e ottenne, in volo, dall’Amministratore del tempo la nomina a primo ISS Science Officer della NASA.

Peggy Whitson nel 2017 al lavoro sul Microgravity Sciences Glovebox da lei stessa installato in Destiny quindici anni prima. Credit: NASA

Una volta a terra, Peggy ebbe l’incarico di Deputy Chief dell’Ufficio Astronauti (2003-2005), che poi avrebbe guidato, prima donna a ricoprire questa funzione, dal 2009 al 2012 e, nel 2003, fu comandante della missione NEEMO 5.

Passarono quasi 5 anni prima del suo ritorno sulla ISS, a bordo della Sojuz TMA-11. Questa volta era parte dell’Expedition 16 (191 giorni e 9 ore, dal 10 ottobre 2007 al 19 aprile 2008) di cui – prima donna nella storia della stazione spaziale – assunse il comando.

Da sinistra: il malese Sheikh Muszaphar Shukor, il russo Yuri Malenchenko e Peggy Whitson a Bajkonur in procinto di imbarcarsi sulla Sojuz TMA-11 il 10 ottobre 2007. Credit: NASA

Durante la sua permanenza la ISS subì un significativo aumento dello spazio abitabile. Infatti tra 2007 e 2008 si aggiunsero alla stazione i moduli Harmony (o Node-2, arrivato nell’ottobre 2007 con STS-120), Columbus (febbraio 2008, con STS-122) e Kibo (marzo 2008, con STS-123 che portò in orbita anche lo Special Purpose Dexterous Manipulator, meglio noto come Dextre).

Installazione del modulo Columbus, l’11 febbraio del 2008. Credit: NASA

Tutte queste installazioni furono compiute attraverso il braccio robotico, ma richiesero anche diverse uscite nello spazio per effettuare lo spostamento del PMA-2 (la porta di accesso della stazione) da Unity ad Harmony e per altre operazioni di manutenzione. In totale, durante la missione, il comandante ebbe la possibilità di effettuare cinque spacewalk, conquistando il record femminile, sia per numero di EVA effettuate sia per la durata complessiva.

Questa seconda esperienza nello spazio si concluse con un piccolo incidente. A causa di un problema al momento del distacco del modulo di servizio dalla Sojuz, la capsula di discesa, con a bordo gli astronauti, si trovò ad affrontare un cosiddetto rientro balistico, assai più ripido di quello ordinario, con un picco nella decelerazione fino ad 8,2 G, che la portò ad atterrare a 475 km dal punto previsto. In realtà, il vero incidente fu quello in cui incappò Perminov, il Direttore di Roscosmos che, tentando di essere spiritoso, ebbe l’infelice idea di ricondurre l’accaduto alla sfortuna determinata dalla presenza femminile sulla navicella e ciò “a dispetto del fatto – ironizzava tempo dopo la Whitson – che anche il precedente equipaggio [quello della Sojuz TM-10], che era tutto maschile, avesse avuto lo stesso problema”.

Peggy Whitson il 17 novembre del 2017 firma come da tradizione la porta della camera del Hotel dei Cosmonauti di Bajkonur ove ha trascorso la notte prima del lancio della Sojuz MS-03. Credit: NASA

Dopo altri 8 anni, il 17 novembre del 2016, Astro Peggy è decollata per il suo ultimo e conclusivo viaggio nello spazio sulla Sojuz MS-03. La Whitson avrebbe dovuto fare parte dell’Expedition 50 e 51, rivestendo ancora una volta nella seconda il ruolo di comandante, ma un felice imprevisto – la scelta da parte russa di ridurre gli equipaggi a bordo della ISS – le ha consentito di godere di un prolungamento. La sua missione è stata allungata della durata di tutta la Expedition 52, ossia di tre mesi, ed è terminata (dopo 289 giorni e 5 ore) il 3 settembre 2017 con il rientro sulla Sojuz MS-04.

Peggy Whitson si prepara alla sua ottava EVA, il 30 marzo 2017. Credit: NASA

A differenza del passato, in questa occasione l’astronauta americana ha potuto soggiornare in una stazione spaziale ormai completa, bisognosa più di manutenzione e riparazioni che di ulteriori integrazioni. Ciò le h permesso di inanellare altre quattro EVA (connesse al riposizionamento del PMA-3, ma anche alla sostituzione di batterie e di altri componenti), ma soprattutto di dedicarsi ad un gran numero di attività scientifiche.

La Sojuz MS-04 con a bordo Fyodor Yurchikhin, Jack Fischer e Peggy Whitson poco dopo l’atterraggio in Kazakhstan il 3 settembre 2017. Credit: NASA/Bill Ingalls

La donna dei record

Peggy Whitson, come si è detto, con 665 giorni in tre missioni, è l’americana che ha trascorso più tempo nello spazio (davanti a lei nella classifica internazionale ci sono solo Gennady Padalka, con 879 giorni in cinque viaggi, e altri cosmonauti russi) e, come donna, ha il primato assoluto sia cumulativamente, sia come durata della singola missione. È la seconda astronauta nel mondo (insieme all’americano Michael Lopez-Alegria) per numero di EVA, che assommano a dieci e, con 60 ore e 21 minuti, è la quarta (dopo il recente sorpasso da parte di Andrew Feustel) per durata complessiva, mentre mantiene entrambi i primati nella graduatoria femminile. È stata inoltre la prima donna che abbia assunto il ruolo di comandante della ISS, la prima a farlo due volte, la prima a guidare l’Ufficio Astronauti, la donna più anziana a viaggiare nello spazio, ecc. ecc. L’elenco si potrebbe ancora allungare, ma forse non è molto utile farlo. La stessa Whitson interrogata dai media in merito al valore di questi primati ha risposto con parole che ricordano quelle pronunciate in circostanze analoghe da Samantha Cristoforetti. Record di questo genere si ottengono più per circostanze fortunate che per merito personale e, in ogni caso, sono destinati ad essere superati:

Non mi trovo a mio agio, con tutti questi apprezzamenti sui miei record. Onestamente, penso che sia fondamentale continuare a infrangerli, perché questo ci indica che stiamo progredendo nell’esplorazione. Mi sento fortunata per essere stato in grado di sfruttare le opportunità che ho avuto, anche se riconosco che la dedizione e l’etica del lavoro mi hanno aiutato a conseguirle.

Non  sappiamo ancora se Peggy Whitson abbia già chiaro quale sarà il suo futuro dopo il ritiro dalla NASA; di quanto le mancherà della sua esperienza di astronauta è invece ben consapevole, almeno da quando dall’orbita, poco prima del rientro, rispondeva per email alle domande di un’intervista che non si era potuta svolgere in collegamento diretto:

Cose che mi mancheranno:

So che mi mancherà enormemente la libertà di fluttuare e muovermi con il tocco più leggero, specialmente in quei primi giorni dopo il mio ritorno, quando la gravità sarà davvero sgradevole.

Mi mancherà vedere l’aspetto incantevole e rasserenante della nostra Terra da questo punto di vista. Fino alla fine dei miei giorni, i miei occhi scruteranno l’orizzonte cercando di ritrovare quel profilo.

Mi mancherà vedere e lavorare in questa creazione impressionante che noi, insieme, abbiamo costruito qui nello spazio, viaggiando a 28.000 km all’ora. Non riesco ancora a credere all’incredibile livello di attenzione ai dettagli che è stato necessario per immaginare questo posto, figuriamoci per costruirlo!

Mi mancherà essere le mani di così tanti scienziati, che cercano di esplorare nuove strade in ricerche che non possono essere realizzate sulla Terra.

Mi mancherà anche la possibilità di fare passeggiate in un’astronave ad un posto.

E soprattutto, mi mancherà quell’incredibile senso di soddisfazione, gratitudine e orgoglio che deriva dal lavorare in orbita con il team della NASA.

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Roberto Mastri

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