Voyager 1 rileva debolissime onde di plasma nello spazio interstellare

Rappresentazione artistica della sonda Voyager 1 mentre entra nello spazio interstellare. © NASA.

Analizzando i dati della sonda, un team di ricercatori ha individuato un nuovo segnale continuo che permetterebbe la misurazione della densità del plasma interstellare attraversato.

Lanciata nel settembre 1977, due settimane dopo la gemella Voyager 2, la sonda Voyager 1 è attualmente il manufatto umano più distante dalla Terra (22,8 miliardi di chilometri o 152,8 unità astronomiche). Dopo i flyby di Giove (marzo 1979) e di Saturno (novembre 1980), la sonda ha intrapreso una traiettoria al di fuori dell’eclittica, il piano orbitale su cui orbitano tutti i pianeti, uscendo verso l’alto dal sistema solare. Il 25 agosto 2012 divenne la prima sonda a uscire dall’eliosfera, la bolla di plasma che circonda il Sole, entrando quindi nello spazio interstellare. Dei numerosi strumenti di bordo, solo quattro sono attualmente ancora attivi, tra cui il Plasma Wave System (PWS) che, con le sue due antenne di 10 metri di lunghezza, misura continuamente la densità degli elettroni dello spazio attraversato.

L’attuale posizione della sonda Voyager 1 (a sinistra) rispetto al Sistema Solare. ©NASA/JPL Eyes on the Solar System

In questi ultimi anni in cui Voyager 1 ha coperto 30 unità astronomiche nello spazio interstellare, il PWS ha continuato a inviare a Terra preziosi dati che, in concomitanza di sporadici fenomeni turbolenti, hanno permesso la misurazione della densità locale.
In particolare solo 8 sono stati gli eventi registrati, causati da onde di plasma generate dal Sole.

«Purtroppo ne abbiamo rilevate solo una all’anno», ha spiegato Stella Koch Ocker, della Cornell University di Ithaca (NY) e a capo dello studio pubblicato sulla rivista Nature. «Quindi basandoci solamente su questi rari eventi otterremmo una mappa della densità dello spazio attraversato abbastanza scarsa».

Questo è stato proprio lo spunto per investigare più nel dettaglio i dati a disposizione, alla ricerca di un elemento che potesse riempire i vuoti nelle misurazioni. Filtrando ulteriormente i segnali ricevuti, partendo dalla metà del 2015, è stato individuato un flebile ma sempre più costante segnale, indipendente dalle grosse perturbazioni cosmiche.

«In pratica si tratta di un singolo tono, con un’ampiezza di banda molto stretta», continua Stella Koch Ocker. «Lo sentiamo variare nel tempo, ma proprio questa variazione della frequenza ci permette di determinare come cambia la densità dello spazio».

Il nuovo segnale è stato chiamato Plasma Wave Emission (emissione d’onda di plasma) e assomiglia a un noto fenomeno simile osservabile nell’alta atmosfera terrestre direttamente legato alla densità degli elettroni presenti.

Immagine riassuntiva spettrografica di tutti i dati ricevuti dal 25 agosto 2012. Nella parte alta si notano gli 8 plasma oscillation events (POE). Nella parte bassa, oltre alla spiegazione dei POE, compare a partire dalla metà del 2015 la linea grigia che indica il segnale Plasma Wave Emission, prima intermittente e quindi costante. ©Ocker, S.K., Cordes, J.M., Chatterjee, S. et al.

«Questa nuova scoperta ci consentirà di monitorare costantemente la densità dello spazio che Voyager 1 sta attraversando, indipendentemente dall’attività solare».

Rintracciando il segnale a ritroso fino al 2012 è stato notato che la densità media del plasma ha cominciato a salire pian piano, raggiungendo nel 2015 un valore quaranta volte superiore alle prime misurazioni e che rimane costante ancora oggi.

Dopo 44 anni di missione Voyager 1 continua quindi a fare scienza, regalandoci nuove scoperte per una maggiore comprensione dell’universo. Questo sarà possibile finché l’energia prodotta dal generatore RTG di bordo, il cui esaurimento è previsto verso la fine del decennio, sarà sufficiente. Dopodiché la sonda viaggerà silenziosa nella Via Lattea, raggiungendo le prime propaggini della Nube di Oort tra 300 anni, impiegandone altri 30.000 per attraversarla e continuando quindi in direzione della costellazione dell’Ofiuco.

Fonte: NASA.

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Simone Montrasio

Appassionato di astronautica fin da bambino. Dopo studi e lavoro nel settore chimico industriale, per un decennio mi sono dedicato ad altro, per inserirmi infine nel settore dei materiali compositi anche per applicazioni aerospaziali. Collaboro felicemente con AstronautiNEWS dalla sua fondazione.