Hubble e l’esopianeta PDS 70b

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Immagine di PDS 70 presa con il Very Large Telescope (VLT) dell'European Southern Observatory. Credits: ESO VLT André B. Müller (ESO)

Scoprire nuovi esopianeti è al giorno d’oggi quasi diventata routine: attraverso osservatori specializzati in orbita, come TESS, CHEOPS o prossimamente JWST, e sfruttando il metodo dei transiti, il numero di esopianeti oggi noti si aggira attorno alle 4.000 unità. Tuttavia, di questi solo una quindicina circa sono stati osservati direttamente, sia a causa della presenza dominante della luce della stella madre che per la ridotta dimensione dell’immagine, qualche pixel al massimo.

Il sistema stellare PDS 70

Zoom del cielo verso PDS 70, a sud della costellazione del Centauro.

Per la prima volta, però, è stato possibile osservare un esopianeta in banda ultravioletta, sfruttando le capacità del telescopio spaziale Hubble e di Wide Field Camera 3, durante cinque campagne nel corso del 2020. Sotto la supervisione di Yifan Zhou dell’Università del Texas, il telescopio è stato puntato nella direzione della costellazione del Centauro, dove si trovano PDS 70, una nana arancione a 370 anni luce dalla Terra, e almeno tre pianeti, PDS 70a, PDS 70b e PDS 70c. Il sistema è immerso in un disco di gas e polveri che ne testimoniano la giovane età, ed è di particolare importanza perché in grado di fornire dati a supporto del modello di formazione planetaria attualmente più condiviso, che prevede la presenza di un disco di gas e polveri da cui si formano i pianeti, attraverso un meccanismo noto come accrescimento. Sfruttando l’elevata sensibilità in banda ultravioletta di Hubble è stato possibile rilevare la radiazione emessa dal materiale interstellare in caduta verso PDS 70b e quindi misurarne il tasso di crescita. I primi dati, pubblicati su Astronomical Journal ad aprile 2021 (Yifan Zhou et al 2021 AJ 161 244), indicano che l’esopianeta, il più giovane mai osservato da Hubble, ha inglobato una massa fino a cinque volte quella di Giove a partire dalla sua formazione, avvenuta circa 5 milioni di anni fa (per confronto, l’età della Terra è stimata in 4,6 miliardi di anni, quindi quasi 1.000 volte più vecchia). La fase di rapido accrescimento è attualmente drasticamente diminuita: se rimanesse costante per il prossimo milione di anni, la massa acquistata sarebbe un centesimo di quella di Giove. Quest’ultima stima è stata ottenuta tramite un unico set di dati, per cui serviranno più osservazioni per confermarla o smentirla. La caduta dei gas citata in precedenza, e oggetto delle misure di Hubble, sarebbe dovuta alle linee del campo magnetico che si estendono dal disco di materiale intorno al pianeta fino all’atmosfera dello stesso, incanalando materiale sulla superficie e creando zone che raggiungono temperature anche 10 volte superiori alla superficie del pianeta, diventando quindi ben visibili nella banda ultravioletta.

Rappresentazione artistica delle colonne di materiale interstellare in caduta verso PDS 70b. Credits: NASA, ESA, STScI, Joseph Olmsted (STScI)

Una delle maggiori difficoltà incontrate dal team è stata ridurre il più possibile la luce della stella: sebbene PDS 70b orbiti a circa 20 UA (la distanza di Urano dal Sole) presenta uno spettro 3.000 volte più debole della stella nella banda UV. Solitamente per rimuovere la luce di una stella si usa un coronografo, uno strumento in grado di creare un’eclissi artificiale oscurando la stella, permettendo così di osservare eventuali corpi nelle vicinanze. Zhou e colleghi hanno invece applicato per la prima volta alla banda ultravioletta due metodi già utilizzati in passato (angular differential imaging il primo e sub-pixel dithering e Fourier interlacing il secondo), ma in altre porzioni dello spettro elettromagnetico. Sono riusciti così a migliorare la risoluzione del pianeta e la quantità di luce stellare rimossa, permettendo di ridurre di un fattore 5 la distanza minima a cui un pianeta può essere individuato dalle osservazioni di HST e potenzialmente estendendo questo metodo anche ad altri sistemi simili a PDS 70.

Immagine di PDS 70 e PDS 70b presa da HST. Credits: Joseph DePasquale (STScI)

Hubble Space Telescope

Hubble è un telescopio spaziale, probabilmente il più famoso, immesso nel 1990 in orbita bassa terrestre, a 540 km di altitudine, un centinaio di chilometri sopra la ISS, dallo Space Shuttle Discovery nel corso della missione STS-31. La necessità di avere osservazioni che non fossero affette dalle turbolenze e dall’assorbimento dell’atmosfera (seeing) aveva spinto la comunità astronomica americana a chiedere a NASA la progettazione di un telescopio spaziale, completato poi anche con il supporto di ESA.

Hubble è un telescopio Ritchey-Chretien con lo specchio primario da 2,4 m e quello secondario da 0,3 m, dal peso rispettivamente di 828 kg e di 12,3 kg. Entrambi sono stati appositamente curvati in modo da poter permettere alla luce di essere riflessa dallo specchio primario verso il secondario, il quale la rimbalza indietro verso un foro apposto su quello primario e quindi successivamente raccolta dai sensori.

I quattro strumenti prettamente scientifici (Wide Field Camera 3 – WFC3, Cosmic Origins Spectrograph – COS, Advanced Camera for Surveys – ACS, Space Telescope Imaging Spectrograph – STIS) permettono di osservare lo spettro elettromagnetico dall’ultravioletto all’infrarosso, dai 115 ai 1.700 nanometri, mentre il Fine Guidance Sensors – FGS funziona sia da stabilizzatore del puntamento di Hubble, mantenendo nel campo visivo il corpo celeste in analisi, sia come strumento scientifico, misurando la distanze tra le stelle e i moti relativi.

A causa di alcuni difetti dello specchio e per la sostituzione di alcune componenti è stato visitato per 5 volte da missioni Shuttle definite “di servizio”: STS-61 (dicembre 1993), STS-82 (febbraio 1997), STS-103 (dicembre 1999), STS-109 (marzo 2002) e STS-125 (maggio 2009).

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Fonti: NASA e hubblesite.org.

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Matteo Deguidi

Studio Astrophysics and Cosmology a Padova e sono interessato alle nuove generazioni di telescopi, sia terrestri che in orbita. In ambito astronautico la mia passione principale è seguire lo sviluppo e la costruzione delle sonde, dai siti di produzione al lancio. Considero ISAA come una seconda famiglia, la quale mi ha dato possibilità di accedere ad un mondo di notizie che da tanto ricercavo.