I primi risultati di Chandrayaan-1

Il logo di AstronautiNEWS. credit: Riccardo Rossi/ISAA
Il logo di AstronautiNEWS. credit: Riccardo Rossi/ISAA

Circa un mese fa, il 22 ottobre, è stata lanciata la prima sonda indiana per lo studio della Luna, la sonda Chandrayaan-1, a cui partecipa anche l’ESA.
 
Quale è lo stato della missione?

Chandrayaan-1 ha appena iniziato la sua missione scientifica di osservazione della Luna e iniziano ad essere disponibili le prime immagini raccolte e i primi dati sulla composizione chimica.

Dopo il lancio, il percorso di avvicinamento alla Luna ha presentato una serie di tappe molto interessanti, perché illustrano bene il significato di un viaggio Terra-Luna, che molti si immaginano ancora come un percorso diretto e lineare, un po’ come lo raccontava Verne nel suo celebre romanzo. In realtà dopo il lancio Chandrayaan-1 si è inserita in un’orbita intorno alla Terra. Si trattava di un’orbita molto schiacciata, percorsa dalla sonda in appena 7 ore, che la portava da una quota minima di 255 km a una quota massima di 22860 km.

La distanza massima dalla Terra è stata gradualmente aumentata nei giorni successivi, agendo con i propulsori a bordo della navicella, fin quando il 4 novembre, dopo una quinta manovra di aggiustamento, Chandrayaan-1 ha raggiunto una distanza massima di 380mila km dal nostro pianeta. A questo punto si è sostanzialmente sganciata dalla gravità della Terra ed è stata catturata dalla forza gravitazionale della Luna.

L’8 novembre la sonda si è fatta catturare definitivamente dal nostro satellite naturale: la tecnica è la stessa che viene usata ogni volta che una sonda deve inserirsi nell’orbita di un pianeta. Quando la distanza è quella corretta, si accendono i motori della sonda che ne rallentano la corsa; il rallentamento procede fino a quando la sonda raggiunge la posizione e la velocità adeguate affinché il successivo spegnimento dei motori consente alla forza di gravità di “abbracciare” la navicella, conducendola in una cammino forzato intorno al pianeta stesso. Nel caso di Chandrayaan-1 questo è successo quando si trovava a circa 500 km dalla superficie.

A questo punto è iniziato il processo inverso a quello che ha fatto allontanare la sonda dalla Terra: i motori sono stati accesi per abbassare la quota minima dell’orbita in modo controllato, fino ai 200 km dalla superficie, mentre la distanza massima rimaneva invariata a circa 7500 km. Nei giorni successivi, l’orbita è stata trasformata – attraverso i motori – in un’orbita circolare polare, ad appena 100 km di quota, che viene percorsa in appena due ore. 

Il 14 novembre Chandrayaan-1 ha lasciato cadere una sonda nei pressi del polo sud lunare, vicino al cratere Shackleton. Con quale scopo?

Alcune missioni precedenti, come la Clementine o la Lunar Prospector, avevano suggerito che all’interno di alcuni crateri polari della Luna vi fossero depositi di acqua o, almeno, di terreno ghiacciato. Nessuna analisi successiva ha confermato questi risultati.

Quando qualche anno fa è terminata la vita operativa della sonda SMART-1 dell’ESA, la prima sonda ESA dedicata allo studio della Luna, si è scelto di farla precipitare sul satellite proprio perché facesse sollevare con il suo urto la polvere depositata sulla superficie lunare, mettendo eventualmente in evidenza una composizione chimica degli strati sottostati compatibile con la presenza di acqua.

La sonda indiana, con un equipaggiamento strumentale decisamente migliore dei suoi predecessori e forte delle esperienze passate, ha ripetuto l’esperimento: l’impattatore, come viene chiamato in gergo tecnico, aveva una massa di 29 kg ed era ovviamente del tutto privo di materiale esplosivo: non si è trattato di un missile né di niente di paragonabile, ma solo di una piattaforma sulla quale erano stati installati tre strumenti scientifici: un sistema di riprese video, un altimetro e uno spettrometro di massa, cioè uno strumento con il quale si cerca di comprende la composizione chimica delle particelle in sospensione sulla superficie lunare.

Vedremo nei prossimi mesi le analisi dei dati raccolti da questo “asteroide artificiale” che abbiamo fatto piovere sulla Luna, man mano che gli strumenti della sonda raccolgono informazioni.

Ricordiamo che, in generale, la missione si propone di realizzare una mappa della superficie lunare dal punto di vista chimico, mineralogico e geologico. La sonda è dotata di 11 strumenti, tre dei quali (C1XS, uno spettrometro a raggi X, SIR-2 uno spettrometro nell’infrarosso e l’analizzatore atomico SARA) sono stati forniti da nazioni europee attraverso l’ESA. Lo spettrometro SIR-2 è stato messo in funzione il 19 novembre e il giorno successivo ha iniziato a raccoglier dati scientifici. Il C1XS, invece, è stato messo in funzione il 23 novembre.
 
Il 2008 è stato un anno “lunare” denso di avvenimenti. In effetti, il rilancio dell’esplorazione robotica e umana di Luna e Marte ha riproposto il nostro satellite naturale all’attenzione delle agenzie spaziali. Ma quali sono, volendo riassumere, i risultati recenti più importanti?

Stilare graduatorie di merito, nella ricerca scientifica e nel progresso tecnologico, è sempre complesso. A titolo indicativo possiamo fare riferimento all’“International Lunar Exploration Awards 2008" assegnato recentemente dall’International Lunar Exploration Working Group (ILEWG), in occasione di una conferenza tematica tenuta a Cape Canaveral, all’inizio di novembre.

Il ILEWG è un forum pubblico creato nel 1994, supportato dalla principali agenzie a livello mondiale per stimolare e sviluppare la cooperazione internazionale verso una strategia globale condivisa per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse naturali della Luna.

Gli highlights, dicevamo: il 2008 ha visto la realizzazione della mappatura del campo gravitazionale lunare con un dettaglio senza precedenti da parte del gruppo di scienziati legati alla missione giapponese Kaguya, della JAXA, l’Agenzia Spaziale Giapponese, a cui l’ESA ha fornito un importante appoggio relativo alla messa a punto del segmento di terra. Dopo appena un anno di osservazione, Kaguya ha realizzato una mappa gravitazionale, mappe topografiche e una prima analisi della chimica degli strati superficiali della luna, tutti risultati ottenuti con elevato dettaglio.

Un premio significativo se l’è aggiudicato anche la stessa Chandrayaan-1, della quale è stato riconosciuto l’enorme sforzo diplomatico che si è concretizzato nella più estesa collaborazione relativa agli strumenti. Chandrayaan-1 è realizzato da ben 20 paesi, di cui 17 fanno parte dell’ESA, a cui si aggiungono anche l’India, la NASA per gli USA, e la Bulgaria.

Anche le aziende commerciali iniziano a muoversi. A Baltimora è stato lanciato anche un concorso per la progettazioni di un robot relativamente autonomo che possa esplorare la Luna. Di che cosa si è trattato?

Il ritorno sulla Luna è molto concreto e riguarda sia il settore pubblico che, e soprattutto, quello privato. Il Google Lunar X- Prize Competition ha lanciato una competizione che consiste nel progettare un robot “commerciale” a costi ridotti, cioè non sviluppato ad hoc da agenzie governative, che sia in grado di atterrare in un’area della Luna e di analizzarla in dettaglio. Il robot deve essere in grado di eseguire in modo soddisfacente un’intera missione scientifica. Lo scopo della gara è trasparente: si vuol dare materia a cui pensare ad eventuali ingegneri che possano essere protagonisti della esplorazione dello spazio del futuro.

Qualche giorno prima, si era svolta a Cape Canaveral la X Conferenza internazionale sullo sfruttamento della Luna, al termine della quale i partecipanti avevano riaffermato con forza l’intenzione di stimolare l’esplorazione lunare presente e futura, dall’analisi dati fino alla creazione di lander e rover e, infine, alla creazione di un “villaggio” robotico, al quale potessero contribuire una molteplicità di soggetti, nell’ottica di una reale cooperazione a livello globale. Sarebbe il primo passo per una base lunare internazionale in grado di ospitare gli astronauti.

Fonte: ESA

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Alberto Zampieron

Appassionato di spazio da sempre e laureato in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino, è stato socio fondatore di ISAA. Collabora con Astronautinews sin dalla fondazione e attualmente coordina le attività fra gli articolisti.