Intervista esclusiva all’astronauta Rhea Seddon

“Durante un viaggio negli USA a fine 2009 ho avuto l’opportunità di incontrare molti ex astronauti americani nell’ambito di un evento pubblico annuale che si tiene in Florida. Alcuni di loro hanno accettato la mia richiesta di sottoporsi a delle brevi interviste. Si tratta di sette astronauti che hanno volato nel programma STS della NASA più uno “Special Guest”. Sebbene alcuni degli intervistati abbiano volato anche in altri programmi spaziali americani, le interviste si sono incentrate esclusivamente sul programma Space Shuttle in quanto all’epoca avevo l’intenzione di dedicarmi ad un progetto relativo alla storia di questo programma. Purtroppo questo progetto non si è mai concretizzato e le interviste sono rimaste “chiuse in un cassetto” da allora, ma grazie alla collaborazione con AstronautiNEWS e con l’associazione ISAA posso finalmente renderle pubbliche. Quella che segue è quindi la prima di questo “ciclo” di sette interviste (più quella speciale che verrà pubblicata per ultima) nelle quali sono state poste cinque domande per ognuna delle missioni STS effettuate. Tutte le interviste sono di proprietà esclusiva AstronautiNEWS.”

Paolo Baldo


Margaret Rhea Seddon è nata il 8 novembre 1947 a Murfreesboro nello stato del Tennessee. Dopo aver conseguito il diploma superiore presso la locale High School nel 1965, Rhea si è laureata in fisiologia cinque anni dopo alla University of California, Berkeley. Nel 1973 ha conseguito il dottorato in medicina presso la University of Tennessee College of Medicine. Ha poi lavorato in varie strutture ospedaliere fra Tennessee e Mississippi prima di vedere accettata la sua richiesta di entrare nel corpo astronauti della NASA.

Rhea Seddon è stata selezionata dalla NASA nel gennaio 1978 assieme ad altre 5 donne e 29 uomini. Si è trattato del primo gruppo di astronauti espressamente selezionato per volare sullo Space Shuttle, che a quell’epoca era ancora nella fase di sviluppo. Rhea e le sue cinque colleghe sono state le prime donne selezionate dalla NASA. Di questo gruppo faceva infatti parte anche Sally Ride, che nel 1983 diventerà la prima donna americana ad andare nello spazio. Nel 1986 troverà invece la morte nell’incidente del Challenger la compagna di corso Judith Resnik, assieme ad altri tre membri di questo gruppo, Francis Scobee, Ellison Onizuka e Ronald McNair.

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Rhea Seddon nel 1978. Credit: NASA

Nel 1981 Rhea Seddon ha sposato il compagno di corso Robert Gibson (che nella sua carriera effettuerà ben cinque missioni spaziali) con il quale ha avuto tre figli. Paul nato nel 1982, Edward classe 1989 ed Emilee nata nel 1995.

Rhea Seddon ha effettuato la sua prima missione spaziale nel 1985 a bordo della navetta Discovery, denominata STS 51-D. Durante questa missione furono messi in orbita due satelliti (ANIK-C e Syncom IV-3) e condotti svariati esperimenti medici. Un malfunzionamento del satellite Syncom dopo il suo rilascio ha costretto l’equipaggio a delle operazioni non previste, fra le quali la prima EVA non pianificata del programma STS.

Il secondo volo è arrivato nel 1991 a bordo della navetta Columbia, per la missione STS-40. Fu una missione completamente scientifica (SLS-1, Spacelab Life Sciences) che vide l’utilizzo del laboratorio Spacelab dove vennero effettuati soprattutto esperimenti dedicati allo studio del comportamento umano, animale e cellulare in ambiente di microgravità e del successivo riadattamento alle condizioni terrestri.

Il terzo e ultimo volo venne effettuato nel 1993, sempre a bordo di Columbia, per la missione denominata STS-58. Anche questa missione scientifica (SLS-2, Spacelab Life Sciences-2) vide l’impiego dello Spacelab che venne utilizzato in maniera estremamente efficiente come mai prima di allora.

La dottoressa Seddon ha lasciato la NASA nel 1997 accettando un posto come ufficiale medico presso il Vanderbilt Medical Group di Nashville nel Tennessee ma non prima di aver contribuito allo sviluppo degli esperimenti per la missione Neurolab che ha volato nel 1998.

 

STS 51-D

Si è trattato della tua prima missione spaziale. Qual è l’aspetto che ti ha maggiormente entusiasmata?

Gli aspetti che mi hanno maggiormente interessata sono stati imparare a vivere e lavorare in assenza di peso e, naturalmente, osservare la Terra dallo spazio.

Durante la missione ci fu una EVA non pianificata. Inoltre tu hai manovrato il braccio robotico per attivare un interruttore ma senza successo. Qual è stata la causa di questo problema?

Gli ingegneri che avevano costruito il satellite hanno ritenuto che l’unico elemento a non avere bisogno di ridondanza fosse proprio quell’interruttore dal momento che doveva attivarsi automaticamente nell’istante in cui il satellite veniva rilasciato dallo Shuttle. Quando abbiamo osservato l’interruttore dopo esserci riavvicinati con la navetta abbiamo notato che era correttamente nella posizione ON. Tuttavia abbiamo comunque tentato di azionarlo con il braccio meccanico. Alla fine si è stabilito che si trattava di un malfunzionamento della componente elettronica interna e non dell’interruttore in sé. E quindi non potevamo fare nulla al riguardo

Per quale motivo non avete scelto di agganciare in EVA uno di voi al braccio robotico e fargli attivare l’interruttore con le mani?

Il controllo missione ha ritenuto non sicuro portare un astronauta vicino ad un enorme satellite in rotazione. Nessuno di noi era stato addestrato per una simile manovra e quindi si è preferito essere estremamente conservativi.

Durante l’atterraggio ci fu lo scoppio di un pneumatico. Avete avvertito qualcosa in cabina oppure ve ne siete resi conto solo a posteriori?

Poco prima che la navetta si arrestasse abbiamo sentito un sonoro scoppio ma ci siamo resi conto che si trattava della gomma solo dopo la nostra uscita dallo Shuttle. Se la gomma fosse scoppiata prima, con la navetta ancora a forte velocità, le conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche. Per questo motivo dai voli seguenti si è adottato anche un paracadute per rallentare il veicolo dopo l’atterraggio sgravando un po’ freni e gomme.

STS 51-D

Rhea Seddon e Jeffrey Hoffman durante la missione STS 51-D. Credit: NASA

Durante la missione c’è stato qualcosa che è andato meglio di quanto pianificato?

Fra i vari esperimenti, ne ho condotto uno chiamato American Flight Echocardiograph che utilizzava ultrasuoni per realizzare immagini del mio cuore. Altri due membri dell’equipaggio, Jeffrey Hoffman e Jake Garn, si sono offerti volontari dal momento che a causa del problema con il satellite la missione è stata allungata di due giorni. In questo modo abbiamo raccolto un sacco di informazioni aggiuntive sul cuore.

 

 STS-40

In questa missione ci furono anche degli animali a bordo. Qual è l’animale più grande che sia mai stato portato a bordo di uno Shuttle?

Credo proprio quelli che abbiamo portato noi. Si è trattato di 30 ratti (24 nello Spacelab e 6 nel middeck). In questo volo abbiamo soprattutto testato i contenitori dei ratti, che non avevano funzionato correttamente in una missione precedente, mentre gli animali sono stati analizzati prima e dopo il volo.

Alcune missioni Spacelab hanno visto l’equipaggio dividersi in due team per poter lavorare 24 ore al giorno mentre altre missioni, come la vostra, invece no. Qual è stata la ragione della scelta di non dividervi in due squadre, che di primo acchito sembrerebbe la modalità più produttiva?

La fisiologia umana è influenzata dai ritmi circadiani (o cicli del sonno) per cui se si cambiano questi cicli ad una persona facendola lavorare “di notte” questo può alterare il risultato di alcuni esperimenti. Inoltre è stato ritenuto più produttivo poter testare quattro persone alla volta nel momento in cui l’hardware per un dato esperimento era stato settato.

Per la prima volta nella storia tre donne hanno volato assieme. Qual è stato il maggiore problema di privacy per voi donne e come è stato gestito?

La navetta ha un bagno dotato di tendina per cui ognuno può avere la sua privacy.

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L’equipaggio della missione STS-40 (Bryan O’Connor, Tamara Jernigan, Sidney Gutierrez, Drew Gaffney, Millie Hughes-Fulford, Rhea Seddon e James Bagian). Credit: NASA

La NASA ha mai pensato ad un equipaggio completamente femminile?

Dopo il mio ritiro dai voli ho svolto dei lavori per NASA riguardo a problematiche relative ai due sessi. Ho intervistato un gruppo di donne astronauta e nessuna di loro voleva essere assegnata ad un volo per il solo fatto di essere donna. La NASA effettivamente pensava che un equipaggio tutto femminile sarebbe stato di ispirazione ma poi ci si è resi conto che avrebbe potuto essere scambiato dai media per mera pubblicità per cui gli equipaggi hanno continuato ad essere selezionati in base alle migliori caratteristiche per la missione e non per il loro sesso.

Ci sono donne che durante il ciclo mestruale non sono al massimo della forma. Se questo avvenisse durante una EVA o un’operazione delicata potrebbe rappresentare un problema. Come viene affrontata questa eventualità?

Le donne che intraprendono una carriera che le porta a svolgere delle mansioni complesse e impegnative non hanno solitamente problemi durante il ciclo mestruale. C’è quindi una specie di “selezione naturale”. Se poi il problema è leggero questo non va a discapito delle prestazioni.

 

STS-58

Questa missione viene ricordata come un grande successo. Ci fu qualcosa che non andò come previsto?

Niente che io ricordi. Tutti i nostri equipaggiamenti funzionarono a dovere ed ottenemmo più dati di quanto pianificato.

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Rhea Seddon e Martin Fettman durante la missione STS-58. Credit: NASA

Guardando a questa missione dopo tanti anni qual è stato l’esperimento più importante o fruttuoso?

Prima del nostro volo non c’erano molte informazioni sulla fisiologia delle donne nello spazio per cui avere due donne come soggetti (oltre alle due di STS 40) è stato molto importante. Ma forse ancora più importanti sono stati i test effettuati su molti sistemi e le lezioni che imparammo su come essi interagivano. Un lavoro del genere non era mai stato fatto dopo i voli Skylab degli anni ’70.

Durante la missione sapevi già che sarebbe stato il tuo ultimo volo oppure speravi in ulteriori assegnazioni?

Ero piuttosto sicura che sarebbe stato il mio ultimo volo in quanto volevo tornare a lavorare nel campo della sanità. Visto che non ne avrei più avuto la possibilità ho passato più tempo che potevo a guardare fuori dai finestrini per vedere il nostro mondo dallo spazio.

Qual è il ricordo più profondo della tua ultima missione?

La classe di mio figlio Paul, che frequentava la quinta elementare, aveva aderito ad un programma della NASA per parlare con gli astronauti nello spazio tramite le radio amatoriali. Paul aveva paura che lo imbarazzassi così gli dissi che lo avrei trattato come tutti gli altri suoi compagni di classe. I bambini mi fecero svariate domande mentre passavamo sopra gli Stati Uniti e quando mancava pochissimo alla perdita del contatto li ho ringraziati e salutati. A quel punto ho sentito una vocina dire: “Ti voglio bene, mamma. Ritorna sana e salva.”

Per una donna astronauta cosa significa avere un marito astronauta?

Significa vedere il volo spaziale da due diverse prospettive. Quando mi preparavo per una missione avevo pochissimo tempo per seguire altre cose. Quando era il turno di mio marito fare l’astronauta ed il mio di fare la sposa sapevo quindi perfettamente di cosa aveva bisogno ed in che modo lo potevo supportare al meglio. Ho anche avuto modo di conoscere otto equipaggi (i tre delle mie missioni e i cinque di quelle di mio marito) con relative mogli o mariti e con i quali rimarremo ottimi amici per il resto della nostra vita.

 

Intervista rilasciata all’autore nel dicembre 2009.

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Paolo Baldo

Sono nato a Trento, dove vivo e lavoro. Fra i miei molti interessi l'astronautica occupa un posto privilegiato. La mia passione mi ha portato ad incontrare molti astronauti (di tutti i programmi spaziali occidentali, dal Mercury all'ISS) in svariati eventi pubblici.