Philae, missione compiuta!

Rappresentazione artistica dell'atterraggio di Philae. Credit: ESA

Dopo 56 ore dal “primo contatto” con la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, si è conclusa la missione del lander Philae. Sono stati due giorni e mezzo drammatici ma allo stesso tempo memorabili. Se si esclude il sistema di atterraggio, che purtroppo non ha fatto il suo dovere ancorando saldamente il lander una volta atterrato, tutta la strumentazione di Philae ha eseguito le operazioni pianificate.

Anziché atterrare in una zona sicura e soprattutto ben illuminata dal Sole, Philae è rimbalzato un km più lontano andando a posarsi molto vicino a delle grandi rocce che lo hanno tenuto in ombra per gran parte del tempo. Se ciò non bastasse, solo uno dei suoi tre pannelli solari era orientato verso il Sole e quindi le batterie non hanno avuto la minima possibilità di caricarsi. A completare questo quadro da incubo c’era il fatto che Philae era debolmente appoggiato al suolo potendo contare solamente sul suo peso di 98 kg, che però sulla superficie della cometa corrispondono ad appena 10 grammi.

Philae Bouncing

I tre atterraggi di Philae rilevati dallo strumento ROMAP – Image: TU Braunschweig/IGEP

Dal momento che le batterie si sarebbero inesorabilmente scaricate è iniziata una corsa contro il tempo per raccogliere la maggior parte dei dati possibili con i 10 strumenti scientifici di cui è dotata la sonda. Dapprima sono stati attivati gli strumenti che non potevano causare spostamenti del lander e poi, una volta raccolti e scaricati a Terra i loro dati, ci si è spinti sempre più oltre mettendo in azione anche quelli che avrebbero potuto destabilizzare il precario equilibrio di Philae. L’ultimo di questi è stato il trapano (SD2) che doveva perforare il terreno sotto il lander per raccogliere dei campioni (pochi millimetri cubici) e depositarli in un mini laboratorio interno per le analisi. Dalle analisi dei dati telemetrici risulta che anche quest’ultima operazione è stata eseguita correttamente malgrado non ci sia ancora la certezza che del terriccio sia stato effettivamente raccolto. Ciononostante sia lo strumento COSAC (COmetary SAmpling and Composition) che Ptolemy (un gas cromatografo e spettrometro di massa) sono stati attivati per effettuare le loro misurazioni a prescindere che fosse o meno presente del materiale da analizzare.

Concluse le analisi da parte della strumentazione di bordo e con i relativi dati al sicuro nei centri di controllo della missione, le ultime energie residue fornite dalle batterie sono state utilizzate per tentare una manovra che avrebbe fatto muovere Philae. Dapprima si è valutato di azionare le molle delle gambe di atterraggio per far compiere un balzo al lander nella speranza che ricadesse in una zona più aperta e quindi fuori dall’ombra, ma poi si è deciso per una meno rischiosa manovra di rotazione sul proprio asse, sempre utilizzando le gambe di atterraggio. Anche questa operazione è stata eseguita con successo, facendo ruotare Philae di 35° in modo da rivolgere verso il Sole due pannelli solari anziché uno solo. A coronamento di una giornata eccezionale c’è stato pure il tempo (prima dell’esaurirsi delle batterie) di riprendere delle immagini post-rotazione tramite la camera di bordo ROLIS (ROsetta Lander Imaging System).

Philae Shadow Rock

La roccia sotto la quale si è fermato Philae – Photo: ESA/Rosetta/CIVA

L’unica nota stonata, atterraggio a parte, di questi due giorni forsennati ha riguardato lo strumento APXS (Alpha Particle X-ray Spectrometer) la cui copertura protettiva non si è aperta impedendogli di effettuare le misurazioni previste.

Alle 0:36 GMT (le 1:36 in Italia) di sabato 15 novembre 2014 Philae ha smesso di comunicare e di funzionare. Il voltaggio fornito dalle batterie è sceso sotto la soglia dei 20 volts e la sonda si è posta in uno stato di ibernazione, durante il quale tutta l’energia proveniente dai pannelli solari servirà per tenere calde le batterie secondarie che non devono scendere sotto i 0° C, pena l’impossibilità di iniziare a caricarsi. La speranza è infatti quella di poter risvegliare Philae qualora i pannelli solari arrivassero a produrre almeno 50 Wh al giorno. Con l’attuale esposizione solare, e malgrado la rotazione effettuata, questo valore non può essere raggiunto ma forse con l’avvicinarsi della cometa al Sole e con una diversa geometria rispetto a quest’ultimo, l’esposizione solare nel punto in cui si trova Philae potrebbe migliorare. Se questo avvenisse, per Philae si prospetterebbe una seconda campagna scientifica, ma già ora la sua missione si può senz’altro dire compiuta.

Ora non resta che analizzare in dettaglio i preziosissimi dati raccolti dal piccolo Philae che, malgrado sia stato abbandonato dal suo sistema di atterraggio, ha svolto eroicamente la missione per la quale era stato progettato. E chissà che non ci riserbi ancora delle gradite sorprese. Intanto non possiamo che fare un enorme plauso a coloro che l’hanno concepito, realizzato e gestito regalandoci due giorni di emozioni intensissime, che ci hanno tenuto con il fiato sospeso ma che hanno dimostrato anche la grandissima capacità dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) di operare con sonde interplanetarie dove nessun altro aveva operato prima!

First landing

Il punto esatto in cui Philae ha toccato terra nel primo dei suoi tre atterraggi – Credit: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Fonte: ESA ; Spaceflight101

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Commenti

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Paolo Baldo

Sono nato a Trento, dove vivo e lavoro. Fra i miei molti interessi l'astronautica occupa un posto privilegiato. La mia passione mi ha portato ad incontrare molti astronauti (di tutti i programmi spaziali occidentali, dal Mercury all'ISS) in svariati eventi pubblici.

2 Risposte

  1. KumachanTokyo ha detto:

    Scusami, articolo bellissimo ma…
    potresti correggere W/h in Wh per cortesia 🙂