Tutto pronto per Flight 10 di Starship

Booster 16 mentre viene trasportato al pad di lancio per i test pre volo. Credits: SpaceX

Se non ci saranno posticipi dell’ultimo secondo, lunedì 25 agosto all’1:30 italiane si aprirà la finestra di lancio di un’ora per il decimo volo di Starship, il lanciatore superpesante in fase di sviluppo da parte di SpaceX a Starbase, nel Texas sudorientale.

Il lancio si potrà vedere in diretta sul profilo X di SpaceX a partire da circa 30 minuti prima del decollo. Sarà anche disponibile il commento da parte di astronautiCAST, il podcast della nostra associazione.

Starship è composto da due stadi completamente riutilizzabili. Il primo si chiama Super Heavy (o più comunemente booster) ed è dotato di 33 motori Raptor: differenza del Falcon 9, l’altro lanciatore prodotto da SpaceX, ritorna sulla stessa struttura da cui è decollato, venendo afferrato da due bracci meccanici e riposizionato, in ottica di una rapida riusabilità. Il secondo viene chiamato Ship ed è dotato di sei Raptor: tre per l’ambiente spaziale e tre per operare in atmosfera. Dal settimo volo, svolto a gennaio 2025, Ship ha ricevuto alcuni aggiornamenti, in quella che è stata chiamata Ship V2.

Nonostante le migliorie apportate, le missioni non hanno avuto gli esiti sperati: tutte sono fallite poco dopo il distacco tra i due stadi. Si è trattato di volta in volta di problematiche diverse e le criticità tra un volo e l’altro sono state corrette e prevenute, ma ad oggi la fase di rientro del secondo stadio non è ancora stata testata.

Cosa è successo durante Flight 9

SpaceX ha rilasciato il 15 agosto un comunicato con il resoconto di Flight 9, con alcuni dettagli aggiuntivi su quanto successo.

Booster 14

Il nono volo del razzo fu il 28 maggio all’1:36 italiane e vide protagonisti Ship 35 e Booster 14, lo stesso che venne impiegato per Flight 7: per il programma Starship si trattò della prima dimostrazione di riutilizzo di un booster. Ma non fu l’unica novità: SpaceX provò la rotazione di Super Heavy in una direzione prestabilita nel momento della separazione tra gli stadi, favorita dalla chiusura di alcune feritoie e dall’incanalamento forzato dei gas di scarico. Questo permette di risparmiare carburante nell’inversione di rotta del booster e quindi di avere una maggior capacità di carico verso l’orbita.

Gli altri obiettivi riguardavano il rientro con un angolo di attacco maggiore rispetto ai voli precedenti, per studiare il comportamento del booster e capirne i limiti. Il massimo raggiunto fu di circa 17°, anche se SpaceX non ha comunicato quanto fosse nelle altre missioni,

Dopo la fase iniziale di rallentamento aerodinamico, Booster 14 riaccese 12 motori su 13 previsti per il landing burn, la manovra che lo avrebbe portato ad un ammaraggio: poco dopo l’accensione si vide un esplosione e l’interruzione della telemetria. SpaceX come in altre situazioni ha parlato di un «evento energetico» che si è verificato «vicino alla sezione di poppa» nella zona motori. Il comunicato continua dicendo che «la causa più probabile per il fallimento del landing burn sono state le forze maggiori del previsto sulla struttura del booster e in particolare sul tubo di trasferimento del carburante, per via del rientro con un angolo di attacco maggiore». Il personale di SpaceX ha quindi effettuato delle analisi dopo il volo, concludendo che il tubo «ha probabilmente subito un cedimento strutturale, che ha portato metano e ossigeno liquido a mescolarsi e reagire». L’esperienza di Flight 9 ha quindi permesso di apportare delle modifiche al profilo di rientro, che adotterà un angolo di attacco minore per ridurre lo stress aerodinamico e diminuire le probabilità di un insuccesso.

Ship 35

I veri problemi riguardarono, ancora una volta, lo stadio superiore. Dopo una separazione e i primi tre minuti di volo autonomo apparentemente nominali, «i sensori nel nosecone [la sezione sommitale di Ship] rilevarono un aumento costante nei livelli di metano», che continuò per altri due minuti. A quel punto «la pressione nel serbatoio principale decrebbe rapidamente e simultaneamente quella nel nosecone aumentò». Questa situazione non pregiudicò l’ascent burn, il cui scopo è raggiungere una determinata velocità per poi spegnere i motori.

A quel punto del volo era previsto lo sfiato (venting) del nosecone: questo, unitamente all’elevata pressione, «portò ad un elevato numero di errori di assetto» e superata una certa soglia, all’intervento di un sistema automatico di disattivazione del venting. Conseguentemente l’apertura del portellone della stiva e il rilascio dei dieci simulacri di satelliti Starlink non venne eseguito.

La situazione migliorò grazie all’utilizzo dei reaction control thrusters, una serie di piccoli motori che controllano l’assetto del veicolo, tanto da permettere di riprendere il venting: a quel punto però «le videocamere mostrarono del metano liquido penetrare nel nosecone e le temperature di sensori e controlli cominciarono a diminuire». Questo portò alla passivazione automatica del veicolo, ovvero all’espulsione di tutto il carburante e al non raggiungimento degli obiettivi di missione.

Starship rientrò quindi in atmosfera con un assetto non nominale: gli ultimi dati della telemetria furono ricevuti a «circa 59 km di altezza, sempre all’interno del corridoio di volo previsto». SpaceX ha anche tenuto a precisare che il sistema di terminazione automatica del volo (FTS, Flight Termination System) non fu attivato, nè che ci furono violazioni nelle regole di sicurezza del volo.

Dalle analisi delle videocamere all’interno di Starship è emerso «un guasto evidente al diffusore del sistema di pressurizzazione del serbatoio di metano, che si trova all’interno del nosecone». I tecnici di SpaceX sono anche riusciti a ricreare il problema durante dei test a Terra. Si tratta di un fatto importante, dal momento che le «analisi precedenti al volo non mostravano la possibilità di tale problematica». Il diffusore è stato comunque ridisegnato per «direzionare in modo migliore i gas pressurizzati all’interno del serbatoio principale e ridurre significativamente lo stress sulla sua struttura». È stata anche aggiornata la fase di qualifica delle componenti: ora i test prevedono prove statiche che simulano le condizioni di volo e una prova di utilizzo dieci volte più lunga rispetto a quella operativa.

Flight 10

Nel pieno stile adottato da SpaceX per lo sviluppo di Starship, già qualche settimana dopo il fallimento di Flight 9 cominciarono i preparativi per Flight 10. Il 14 giugno Booster 16 venne montato sulla struttura di lancio e fu sottoposto a uno static fire, una prova di accensione di tutti i motori per verificarne il corretto funzionamento.

Il giorno successivo, il 15 giugno, Ship 36 venne spostata presso il sito di test di Massey, poco distante dal sito di lancio: lo static fire di un singolo motore ebbe esito positivo, permettendo così di procedere, qualche giorno dopo, a quello con tutti e sei i motori. Il test si tenne il 18 giugno: sorprendentemente fallì, causando l’esplosione di Ship 36 e il danneggiamento del sito. Come riportato quasi immediatamente da Elon Musk, fondatore di SpaceX, il responsabile fu probabilmente un serbatoio pressurizzato.

A distanza di circa due mesi SpaceX ha confermato le prime supposizioni: nel comunicato si parla di «causa principale più probabile» e in particolare un «danno non identificabile o non sufficientemente analizzato ad un composite overwrapped pressure vessel (COPV)», il serbatoio pressurizzato appena menzionato. Come misura di mitigazione, durante Flight 10 e nei voli successivi la pressione nei COPV sarà minore e saranno sottoposti a controlli e prove aggiuntive. SpaceX ha comunicato inoltre di «aver sviluppato un nuovo metodo non distruttivo per individuare danni interni», oltre ad aver aggiunto un «nuovo strato protettivo esterno».

Booster 16

Il profilo di missione di Booster 16 sarà molto simile a quello del volo precedente, con diversi esperimenti per raccogliere dati sul comportamento in scenari di rientro diversi o non nominali. Dopo aver effettuato il ribaltamento, inizierà la vera e propria fase di test: uno dei tre motori centrali verrà intenzionalmente disabilitato e uno dell’anello intermedio lo sostituirà, raccogliendo dati su come si comporta il booster. Dopo lo spegnimento, i due soli Raptor centrali completeranno il landing burn, si spegneranno a pochi metri dalla superficie del mare e lasceranno cadere il primo stadio.

Ship 37

A seguito dell’esplosione di Ship 36, Ship 37 fu promossa a secondo stadio per la missione: i test furono effettuati presso il pad di lancio, in attesa della sistemazione del sito di Massey.

Gli obiettivi saranno gli stessi obiettivi del volo precedente: il rilascio di otto simulacri di satelliti Starlink e l’accensione di un solo motore Raptor nello spazio, per quanto riguarda la fase di crociera.

Per la fase di rientro, Ship 37 dovrà testare le capacità di ritorno al sito di lancio: sono state rimosse numerose piastrelle dello scudo termico, in modo da stressare maggiormente le aree sensibili. In alcune parti sono state sostituite da altre in metallo e da una con un sistema di raffreddamento attivo, in modo da studiare delle alternative. Altre piastrelle hanno il bordo rastremato, per evitare la formazione degli hot spot: letteralmente “punti caldi”, sono delle zone in cui l’elevato afflusso di calore comporta un innalzamento della temperatura e quindi potenzialmente dei problemi strutturali.

Per la cattura sono stati installati dei dispositivi di aggancio: ne verranno studiate le prestazioni termiche e strutturali, anche grazie ad un profilo di rientro pensato per studiarne i limiti.


Fonti: Report di Flight 9, Flight 10

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Commenti

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Matteo Deguidi

Studio Astrophysics and Cosmology a Padova e qui provo a raccontare quello che succede nel mondo dell'astronautica mondiale, concentrandomi su missioni scientifiche in corso o in fase di sviluppo, con qualche spruzzata di astronomia.

Una risposta

  1. Roberto Felici ha detto:

    Bell’articolo.
    Grazie!

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