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I tiofeni, un approfondimento sui possibili biomarcatori su Marte

Il rover Curiosity al lavoro su Marte dal 2012. Credit: NASA.

I ricercatori Jacob Heinz della Technische Universität di Berlino e Dirk Schulze-Makuch del Centro tedesco di ricerca per le geoscienze (GFZ) di Potsdam, hanno recentemente pubblicato uno studio basato sui dati raccolti dal rover NASA Curiosity, che valuta la presenza dei tiofeni su Marte, non escludendo la possibilità di una loro origine biologica.

La prima scoperta di composti organici su Marte risale al 1976 per opera dei due lander statunitensi Viking 1 e 2 che, grazie a un gascromatografo-spettrometro di massa (GC-SM), individuarono la presenza di clorometano e diclorometano nei campioni di suolo analizzato. Purtroppo per alcuni decenni questa scoperta venne ritenuta un falso positivo, ipotizzando una contaminazione terrestre degli strumenti. Nel 2010 però, grazie ai dati ottenuti dalla sonda statunitense Phoenix, atterrata su Marte nel 2008, si scoprì che la presenza di sali di perclorato nel suolo marziano disgrega i composti organici producendo proprio clorometano e diclorometano. Una successiva rianalisi dei dati delle Viking evidenziò quindi la presenza nei campioni di suolo di composti aromatici, come il clorobenzene.

Immagine della Utopia Planitia ripresa da Viking 2. Credit: NASA.

Nel 2015 il clorobenzene venne trovato, in quantità comprese tra 150-300 ppb (parti per miliardo), anche dal rover Curiosity all’interno del cratere Gale, che in tempi remoti ospitava un lago.
Una scoperta più interessante, sempre grazie a Curiosity, venne fatta nel 2018, con l’identificazione di molti composti alifatici, aromatici e tiofenici in campioni di suolo della Formazione Murray, anch’essa all’interno di Gale.

Immagine della zona chiamata Formazione Murray, geologicamente composta da roccia sedimentaria a grana fine i cui costituenti originali erano argille o fanghi. Credit: NASA

In realtà i composti organici presenti sarebbero molti di più ma, come venne dimostrato in seguito, la metodologia di analisi utilizzata dal rover, un analizzatore GC-SM pirolitico, che quindi brucia i campioni per analizzarne i gas emessi, distrugge i composti organici complessi.
Tra i composti individuati il 5% è risultato essere composto da molecole solforate, tiofene e i suoi derivati (2-metiltiofene, 3-metiltiofene e benzotiofene) e in misura minore metantiolo, solfuro dimetile, solfuro di carbonile, solfuro di carbonio, acido solfidrico e anidride solforosa.
Questa scoperta è molto interessante perché i tiofeni, di origine biologica e non, sulla Terra svolgono un ruolo importante nel ciclo globale dello zolfo.

I tiofeni sulla Terra

La molecola di tiofene. Credit: Wikipedia.

I tiofeni sono composti organici formati da quattro atomi di carbonio e uno di zolfo, legati da un anello aromatico a 5 lati, ciascuno degli atomi di carbonio è ulteriormente legato a uno di idrogeno.
Sulla Terra i tiofeni si trovano nel bitume, carbone, petrolio grezzo, stromatoliti, microfossili e persino nel Tuber borchii, il meno pregiato tartufo Bianchetto o Marzuolo.
La sintesi abiotica dei tiofeni avviene per esempio durante la diagenesi, i cambiamenti chimico-fisici subiti da un sedimento per opera di elevate condizioni di temperatura e pressione, dopo la sua deposizione iniziale e durante e dopo la sua trasformazione in roccia. In questo caso molecole di acido solfidrico (H₂S) reagiscono con molecole organiche a formare il tiofene.
Il tiofene viene quindi considerato un biomarcatore secondario della presenza di vita in quanto, durante la diagenesi, alcuni batteri solforiduttori producono acido solfidrico come sottoprodotto e le molecole organiche con cui reagisce contengono biomolecole quali lipidi e terpenoidi.
Grazie alla presenza dello zolfo nella molecola, che permette la creazione di un legame chimico molto forte tra diverse molecole a formare dei polimeri, il tiofene è un biomarcatore molto stabile e duraturo, individuabile quindi anche dopo molte ere geologiche.
Infatti i tiofeni sono stati rilevati nelle pareti cellulari di microfossili risalenti al neoproterozoico antichi di 800 milioni di anni e in stromatoliti di 2,72 miliardi di anni.

La sintesi dei tiofeni durante la diagenesi dei sedimenti organici è influenzata da sei fattori:

I tiofeni però possono anche essere prodotti attraverso una sintesi biologica, quindi da microrganismi viventi.
Un esempio è la Caldariella acidophila nota anche come Sulfolobus solfataricus, un archeobatterio estremofilo che prospera a temperature di circa 80 °C e pH acido compreso fra 2 e 4. Scoperta negli anni ’70 nelle solfatare vicino a Napoli, la Caldariella può respirare, e quindi produrre energia, grazie a molecole complesse di tiofenchinoni, quali benzotiofenchinone e benzoditifenchinone, che hanno due molecolecole di tiofene nella struttura.
Grazie a questa scoperta si può affermare che la presenza di tiofeni nell’ambiente naturale non è solo derivante da processi di diagenesi geologica, biomarcatore di secondo grado, ma anche da processi biologici di archeobatteri, quindi un biomarcatore di primo grado.
Questo spiega anche la presenza dei tiofeni del tartufo Bianchetto, la cui comunità batterica è per lo più formata da proteobatteri alfa e beta che, per il loro metabolismo, sono in grado di produrre tiofeni quali benzotiofenchinone e benzoditifenchinone. Una categoria molto interessante è quella dei tiofeni isoprenoidi, rilevati in molti sedimenti terrestri, la cui sintesi avviene per conversione termica dei fitoli e fiteni della clorofilla.

I tiofeni possono essere degradati biologicamente a formare molecole più semplici quali alcoli e alcani, sia tramite ossidazione che riduzione.
Nel caso di batteri solfo ossidanti (che forniscono ossigeno) il tiofene viene inizialmente ossidato a solfone, la cui caratteristica è il gruppo O=S=O e quindi idrolizzato ad alcol con produzione di solfiti e idrogeno.
Nel caso di batteri solforiduttori (che forniscono idrogeno) in condizioni anaerobiche, il tiofene viene ridotto direttamente in alcani a quattro atomi di carbonio e H₂S.

I tiofeni su Marte

Come accennato all’inizio, il tiofene semplice e alcuni dei suoi derivati quali 2-metiltiofene, 3-metiltiofene e benzotiofene, unitamente ad altri composti quali metantiolo, solfuro dimetile, solfuro di carbonile, solfuro di carbonio, acido solfidrico e anidride solforosa, sono stati individuati in campioni di suolo marziano dal rover Curiosity in alcuni siti all’interno del cratere Gale, letto prosciugato di un antichissimo lago. In particolare due siti hanno dato risultati superiori alla norma: Confidence Hills (2,02 nmol) e Mojave-2 (2,2 nmol), entrambi sulle pendici delle Pahrump Hills della bassa formazione Murray.

Campione di suolo della perforazione Confidence Hills, dopo essere stato riversato nella vaschetta di raccolta. Credit: NASA.

Dai risultati delle trivellazioni in diversi siti è risultata interessante una possibile correlazione tra l’abbondanza dei tiofeni e la presenza di solfati sotto forma di jarosite, un minerale composto da solfato idrato basico di potassio e ferro, e sali di solfato di magnesio.

Se come abbiamo visto sulla Terra la presenza dei tiofeni è alquanto sinonimo di presenza di vita, passata o presente, su Marte ancora non siamo in grado di fare questa affermazione e per spiegarne la presenza sono state avanzate tre proposte.

Origine meteorica: il tiofene e molti dei suoi derivati sono stati rilevati in diversi meteoriti rinvenuti sulla Terra, per esempio le condriti carbonacee dei meteoriti Murchison, Murray e Orgueil. Quindi è plausibile assumere che lo stesso possa essere accaduto su Marte, considerando anche il fatto che i meteoriti possono essere anche fonte di materiale organico che, come abbiamo visto, possa reagire con il solfuro di idrogeno a formare i tiofeni.

Sintesi abiotica: durante la diagenesi (vedi sopra) il solfuro di idrogeno potrebbe essere stato trasportato nel lago del cratere Gale da fonti idrotermali o essere di origine biologica da batteri solforiduttori. La materia organica invece potrebbe essere di origine meterorica, di sintesi abiotica da roccia magmatica o di origine biologica. Nei campioni di suolo sono state individuate molecole organiche con quattro atomi di carbonio che, reagendo con agenti solforanti quali, zolfo atomico, acido solfidrico, ossidi di zolfo o minerali, potrebbero aver formato i tiofeni.
È molto probabile che i tiofeni formatisi durante la diagenesi siano stati direttamente incorporati in strutture macromolecolari più stabili che li hanno preservati fino ai giorni nostri – macromolecole che, come già detto, vengono distrutte dal metodo di analisi CG-MS di Curiosity.

Esempio di macromolecola contenente varie molecole organiche. Credit: Jacob Heinz e Dirk Schulze-Makuch.

Sintesi biologica: Come descritto nel caso della sintesi abiotica, gli agenti solforanti sono necessari durante la diagenesi per la sintesi dei tiofeni. Su Marte però la maggior parte dello zolfo presente è disponibile sotto forma di solfati, che non sono agenti solforanti perché non sono in grado di cedere una coppia di elettroni a formare un legame stabile. I solfati possono però essere ridotti a solfiti, quindi agenti solforanti, con una reazione termochimica a temperature superiori a 120 °C o tramite la riduzione batterica dello zolfo a bassa temperatura, anche al di sotto del punto di congelamento dell’acqua.
Per esempio la jarosite, il minerale trovato da Curiosity nei campioni trivellati a Confidence Hills e Mojave 2, potrebbe essere stato ridotto a solfuro di idrogeno da batteri solforiduttori
A sua volta la formazione della jarosite è favorita da pH medio acidi (2–6), ambiente molto probabile nel passato marziano e giustificato dalla scarsità di depositi di carbonati, che alzano il pH verso valori basici.
La presenza di batteri solforiduttori è possibile anche in condizioni di pH acido, come avviene in Spagna nella fascia piritica iberica, un deposito geologico lungo 250 km e largo tra i 30 e 50 km che, da Alcácer do Sal in Portogallo fino a Siviglia in Spagna, è il più grande giacimento di solfuri nel mondo.
Quindi l’acido solfidrico emesso dai batteri solforiduttori potrebbe aver innescato la sintesi del tiofene durante la diagenesi marziana e aiutare a spiegare la relazione tra la presenza di solfati e tiofeni.

Purtroppo, come già descritto, anche nel caso dei tiofeni complessi di origine biologica, come per esempio il tiofene isoprenoico derivato dalla clorofilla, o il benzotiofenchinone e benzoditifenchinone derivati dalla respirazione di batteri estremofili, il metodo di analisi CG-MS di Curiosity non consente il loro rilevamento.

Come avviene sulla Terra anche su Marte sarebbe teoricamente possibile la biodegradazione batterica anaerobica dei tiofeni, considerando il fatto che la degradazione produce lo stesso acido solfidrico necessario alla sintesi e molecole organiche con quattro atomi di carbonio.
Si potrebbe ipotizzare che queste ultime molecole, come già detto individuate da Curiosity, potrebbero essere proprio il prodotto della biodegradazione di tiofeni.

In conclusione quindi, in base ai dati a disposizione, tutte e tre le teorie per spiegare la presenza dei tiofeni su Marte rimangono aperte ma a breve una nuova missione robotica potrà aiutarci a risolvere la questione.
Il rover europeo Rosalind Franklin, il cui lancio per la missione ExoMars era previsto per la prossima estate, ma che recentemente è stato rinviato al 2022, avrà a bordo proprio l’analizzatore giusto.
Il Mars Organic Molecule Analyzer (MOMA), utilizzando la spettrometria di massa a desorbimento/ionizzazione laser (MALDI), sarà in grado di rilevare molecole organiche complesse senza distruggerle durante il processo, consentendo quindi di distinguerne l’origine.
Le molecole organiche di origine biologica infatti sono molto ricche di isotopi leggeri, come per esempio il carbonio 12C e 13C, rispetto a quelle di origine abiotica e lo stesso avviene per gli isotopi dello zolfo.

Sempre parlando di missioni future il prossimo rover marziano NASA Perseverance, il cui lancio è attualmente previsto per il prossimo luglio, non avrà invece a bordo nessuno strumento per la rilevazione di molecole organiche.

Fonte: Astrobiology, Volume 20, Numero 4, 2020.

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