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IMAP si prepara al lancio e arrivano i due suoi compagni

Dei tecnici dell'Astrotech Space Operations Facility al Kennedy Space Center trasportato i due pannelli fotovoltaici di IMAP. Credits: NASA/Kim Shiflett

Mancano circa due mesi al lancio di tre nuove missioni di eliofisica dell’Agenzia spaziale statunitense (NASA): a settembre 2025 un Falcon 9 di SpaceX decollerà dal Launch Complex 39A del Kennedy Space Center con a bordo IMAP, SWFO-01 e GLIDE.

La prima è l’acronimo di Interstellar Mapping Acceleration Probe ed è la principale delle tre, per la quale NASA ha speso oltre 780 milioni di dollari. Le altre due sono cosiddette rideshare mission, letteralmente missioni che condividono il volo. Nei fatti è questo che fanno: sfruttare lo spazio extra nelle ogive del lanciatore, a volte senza contribuire a coprire i costi del lancio. D’altro canto devono però adattarsi alle tempistiche della missione primaria ed essere quindi pronte in anticipo o assieme, oltre a non causare alcun tipo di interferenza fisica, meccanica o elettronica.

IMAP

IMAP ha completato l’installazione dei suoi dieci strumenti a inizio dicembre 2024 presso il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (JHUAPL) in Maryland. Si tratta di tre imager per atomi neutri in diversi livelli energetici: basso (IMAP-Lo), medio (IMAP-Hi) e alto (IMAP-Ultra) e coinvolgono il JHUAPL, il Los Alamos National Laboratory (LANL), il Southwest Research Institute (SWRI), l’Università del New Hampshire e l’Università di Berna. I tre studieranno l’evoluzione dello strato esterno dell’eliosfera, una regione dello spazio in cui la densità di particelle del vento solare è maggiore di quella dello spazio interstellare.

Per studiare le particelle provenienti dall’esterno dell’eliosfera, IMAP utilizzerà tre strumenti: SWAP (Solar Wind and Pickup Ion), CoDICE (Compact Dual Ion Composition Experiment) e HIT (High-energy Ion Telescope), costruiti rispettivamente dalla Princeton University, dallo SWRI e dal Goddard Space Flight Center della NASA.

Gli elettroni del vento solare saranno studiati dal Solar Wind Electron (SWE), del LANL in collaborazione con il SWRI, mentre la sua evoluzione nel tempo sarà approfondita da GLOWS (GLObal Solar Wind Structure), un fotometro (contatore di fotoni) che misurerà l’emissione ultravioletta di idrogeno ed elio interstellari. Quest’ultimo è stato messo a punto dello Space Research Center dell’Accademia delle scienze di Varsavia, in Polonia.

Infine, il campo magnetico attorno alla sonda sarà misurato da due magnetometri progettati e costruiti dall’Imperial College di Londra; le particelle di polvere interstellare saranno studiate da IDEX (Interstellar Dust Experiment), uno spettrometro di massa del Laboratory of Atmpospheric and Space Physics di Boulder, Colorado.

La suite di strumenti di IMAP. Credits: NASA/Johns Hopkins APL/Princeton/Ed Whitman

A marzo sono poi terminati con successo i test nella camera a termovuoto del Marshall Space Flight Center di Huntsville, in Alabama. Qui sono state replicate le condizioni di temperatura e pressione che IMAP sperimenterà nello spazio, in modo da verificare che la sonda operi nominalmente. Il collaudo è stato diviso in due parti.

Nella prima veniva controllato il bilancio termico della sonda: la temperatura è stata mantenuta costante per un giorno o più in modo da verificare se le previsioni e l’effettivo comportamento coincidessero.

Nella seconda parte la temperatura è stata fatta variare tra i due estremi che sperimenterà in orbita; il test ha riguardato inoltre la verifica di tutti i sottosistemi e degli strumenti, la simulazione di una settimana di attività e il controllo di compatibilità con le antenne del Deep Space Network di NASA.

La camera a termovuoto del Marshall Space Flight Center in cui IMAP è stata testata. Credits: NASA/Johns Hopkins APL/Princeton/Ed Whitman

Prima di spedire la sonda all’Astrotech Space Operations, dove verrà rifornita con il carburante e montata sul secondo stadio del Falcon 9, i tecnici hanno rimosso SWAPI e CoDICE per inviarli alla Princeton University, dove erano stati costruiti. I tecnici hanno verificato nuovamente la calibrazione e la capacità di raccogliere dati, prima di rispedirli verso la Florida. Una volta arrivati, sono stati testati e il 23 giugno e dopo qualche giorno di lavoro, nuovamente integrati.

Un tecnico installa nuovamente SWAP su IMAP il 23 giugno. Credits: NASA/Johns Hopkins APL/Ed Whitman

Qualche giorno prima sono stati invece installati i due pannelli fotovoltaici posizionati sulla sommità di IMAP: raccoglieranno la luce solare e la convertiranno in energia elettrica per la sonda. La produzione è stimata intorno ai 500 W, sufficienti ad alimentare tutti i sistemi. Durante le fasi iniziali la sonda sfrutterà una batteria agli ioni di litio.

SWFO-L1

È la prima missione esclusivamente dedicata alle osservazioni del meteo spaziale della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’ente federale statunitense dedicato allo studio dell’atmosfera e degli oceani terrestri. Le informazioni serviranno per sviluppare modelli di comportamento del Sole: l’obiettivo è comprendere meglio i fenomeni e ridurre i rischi sulle infrastrutture di Terra e in orbita associati a quelli più violenti.

Per fare tutto questo sarà posizionata nel punto lagrangiano L1, a circa 1.5 milioni di chilometri dal nostro pianeta verso il Sole: questa particolare collocazione permette di poter comunicare sempre con la Terra. Una missione simile, seppure posizionata nel punto lagrangiano L5, è in corso di sviluppo da parte dell’Agenzia spaziale europea: si chiama Vigil e il lancio è previsto non prima del 2031.

SWFO-L1 dispone di quattro strumenti, tre dei quali sfruttano design e concetti già affermati e testati in altre missioni

L’unico strumento ad essere completato in tempi recenti è stato il Compact CORongraph (CCOR): ne sono stati prodotti due esemplari, uno per SWFO-L1 e uno per GOES-U, lanciato il 27 giugno 2024. Un coronografo è uno strumento che tramite l’occultazione del corpo principale di una stella, quello più luminoso, permette di studiarne gli strati più esterni, altrimenti invisibili.

Entrambi i coronografi permetteranno così di individuare le espulsioni di massa coronale (CME, dall’inglese Coronal Mass Ejections) appena avvengono: si tratta di fenomeni violenti in cui grandi quantità di plasma e di campo magnetico lasciano il Sole con velocità variabili tra i 250 e i 3.000 km/s. Se dirette verso la Terra, le CME impiegano dalle 15 alle 18 ore per arrivare. Quando interagiscono con la magnetosfera, una regione dello spazio permeata dal campo magnetico terrestre, ne causano un riassestamento: le particelle meno energetiche vengono deviate, mentre quelle più energetiche possono penetrarla. È possibile quindi che si verifichino danni all’elettronica a bordo dei satelliti, interruzioni di corrente alle infrastrutture sulla superficie e non da ultimo un aumento all’esposizione alle radiazioni per le persone in orbita e non protette dall’atmosfera.

SWFO-L1 dispone poi di due magnetometri, in grado di rilevare il campo magnetico interplanetario trasportato dal vento solare: nel caso di cambiamenti repentini, questo significherebbe che una tempesta geomagnetica potrebbe arrivare a breve sulla Terra. La forma dei due magnetometri è diversa da quella abituale: dritti anziché circolari, in modo da migliorare la qualità dei dati e migliorare la stabilità termica. Come sempre sono montati su un braccio estensibile: quello di SWFO-L1 è lungo 5.6 m.

La misurazione degli ioni è affidata al SupraThermal Ion Sensor (STIS): si possono così fornire informazioni su eventi energetici del Sole, come le CME, ancora prima che giungano sulla sonda. L’ampio intervallo di energie che STIS può indagare permette anche di avere informazioni non solo sulle particelle a maggior energia, ma anche quelle a più bassa, importanti perché rappresentano un pericolo per astronauti, veicoli spaziali e razzi in partenza.

Infine, il Solar Wind Plasma Sensor (SWiPS) permetterà di misurare velocità, densità e temperatura degli ioni del vento solare, in modo da predire il momento in cui arriverà sulla Terra.

Carruthers Geocorona Observatory

Lo strumento in precedenza era noto come GLIDE (Global Lyman-alpha Imagers of the Dynamic Exosphere) ed è stato intitolato al professor George Carruthers nel dicembre 2022. Carruthers è stato uno scienziato della NASA, famoso tra le varie cose per aver progettato e costruito il Far Ultraviolet Camera/Spectrograph: si trattava di un telescopio negli ultravioletti, installato sulla superficie della Luna dall’equipaggio della missione Apollo 16. Lo stesso telescopio scattò così la prima immagine della geocorona della Terra, nonché la prima immagine nell’ultravioletto del nostro pianeta.

Immagine in falsi colori della Terra nell’ultravioletto scattata dal telescopio progettato e costruito da Carruthers. Credits: G. Carruthers (NRL) et al./Far UV Camera/NASA/Apollo 16

Carruthers, la sonda, è un piccolo satellite che studierà l’esosfera (lo strato più esterno dell’atmosfera) della Terra e le sue modifiche indotte dal vento solare. Lo farà dal punto lagrangiano L1 con un imager negli ultravioletti.


Fonti: NASA (1), NASA (2), NOAA

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