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Nuove scoperte su campioni lunari di Apollo 17

Il luogo dove è stato preso il campione 74001 e lo strato superficiale arancione. Credit: NASA

Ancora una volta i campioni di suolo lunare, raccolti durante il programma Apollo oltre cinquant’anni fa, sono protagonisti di nuove scoperte che ci consentono di capire il passato del nostro satellite naturale.
Nel marzo 2022 avevamo riportato l’apertura di un campione sigillato, raccolto dagli astronauti della missione Apollo 17 del dicembre 1972 e conservato integro per mezzo secolo.
Apollo 17, l’ultima del programma che tra il 1969 e il 1972 consentì a 12 astronauti di esplorare la superficie della Luna, fu anche l’unica con a bordo un geologo, Harrison Schmitt.
Durante la seconda escursione sulla superficie, fu proprio Schmitt che notò nei pressi del cratere Shorty un deposito di materiale arancione e in quella zona vennero presi diversi campioni sia superficiali che in relativa profondità.

È questo il caso del campione 74001 (Apollo 17, stazione 4, campione 001), che venne preso dal sottosuolo grazie a un Double Drive Tube che penetrò, a suon di martellate, per circa 50 centimetri sotto la superficie, raccogliendo 1.072 grammi di materiale molto compatto e granuloso.
Una volta estratto dal sottosuolo, il tubo campionatore venne sigillato e riposto nell’apposito contenitore che lo avrebbe protetto da contaminazioni ambientali, sia della capsula Apollo che della Terra.

Cinque anni dopo il campione venne aperto, sempre in condizioni di sterilità ambientale, per essere sottoposto a diversi studi riguardanti la composizione fisica e chimica.
Quello che interessava agli scienziati erano le minuscole perline vetrificate nere opache e arancioni presenti all’interno, sia intere che rotte oppure sminuzzate o incorporate in sassolini più grandi.
Prodotte tra 3,6 e 3,3 miliardi di anni fa, da gocce di lava espulse violentemente durante un’eruzione vulcanica e istantaneamente raffreddate dal vuoto cosmico, le perline hanno dimensioni inferiori al millimetro,

Fig 1: Le tre fasi di formazione delle perline lunari; Espulsione di gas, assorbimento e condensazione allo stato solido. Credit: T.A. Williams et al.

Recentemente, grazie a nuovi strumenti scientifici, sono state oggetto di studio da parte di un gruppo di ricerca della Brown University di Providence nello Stato del Rhode Island (USA), che si è concentrato sul sottilissimo strato superficiale contenente vapori condensati che costituivano le nuvole vulcaniche durante l’eruzione.
Questo strato, spesso solamente 100 nanometri (100 miliardesimi di metro) è stato studiato mediante strumenti quali la tomografia a sonda atomica, spettroscopia su scala atomica, il microscopio elettronico a scansione e la spettroscopia EDX, scoprendo differenti disomogeneità. Una di queste, denominata microtumulo, presenta la base molto ricca di ferro rispetto alla parte superiore, caratteristica dovuta al repentino calo di pressione nel pennacchio vulcanico nel breve lasso di tempo necessario al microtumulo di depositarsi sulla superficie delle perline.

Fig 2: Una serie di immagini al microscopio elettronico a scansione della superficie di una perlina lunare nera. Credit: T.A. Williams et al.

Nella composizione di scatti della Fig. 2 si nota: a) Perlina con incorporata una perlina più piccola che presenta microtumuli sulla calotta; b) Tracce dell’azione abrasiva effettuata sulla perlina piccola per rimuovere alcuni microtumuli; c) Rivestimento vitreo della perlina e alcuni microtumuli; d) Microtumuli sulla superficie e la presenza di un frammento squadrato di regolite elettrostaticamente aderente.

Le analisi hanno rivelato quali erano le condizioni di pressione, temperatura e composizione chimica dell’ambiente vulcanico in cui si sono formate le perline. Il colore nero opaco indica un’abbondanza di nanocristalli di solfuro di zinco (ZnS), che è quasi completamente assente nelle perline arancio, il che sta a indicare un cambiamento delle condizioni dei gas durante l’eruzione che le ha generate.

L’articolo scientifico è disponibile su Icarus.

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