La NASA si ispira alle dita dei gechi

Immagine ingrandita dei polpastrelli di un geco. Credit: Wikimedia Commons

Nel corso della storia la natura è stata frequentemente fonte di ispirazione per l’evoluzione tecnologica. Scienziati e ingegneri molto spesso hanno studiato il mondo animale per cercare di carpirne i segreti da poter utilizzare in diversi ambiti. Il geco, per esempio, ha destato molta attenzione da parte degli ingegneri della NASA per le incredibili caratteristiche delle sue zampe che lo rendono capace di arrampicarsi anche su superfici estremamente lisce.

Fin dall’antichità la caratteristica di questo simpatico rettile non è mai passata inosservata; Aristotele fu il primo a chiedersi come riuscisse il geco a salire e scendere da superfici anche molto lisce sfidando la gravità. Il quesito del filosofo greco è rimasto senza risposta almeno fino a 20 anni fa, anche perché il segreto del piccolo animale risiede in una forza che i fisici hanno scoperto millenni dopo la morte di Aristotele.

Le forze di Van der Waals sono delle deboli forze elettrostatiche attrattive o repulsive che esistono fra molecole polarizzabili. I polpastrelli dei gechi riescono a sfruttare questa flebile attrazione riuscendo a moltiplicarla. Infatti ciascun polpastrello è dotato di circa mezzo milione di peli, composti da cheratina proprio come i peli umani, ma molto più sottili. Ogni pelo termina con un ciuffetto formato da centinaia di “nanopeli” in modo tale da creare una superficie specifica incredibilmente grande; pertanto con una minima pressione il polpastrello del geco riesce a conformarsi completamente alle più piccole caratteristiche di qualsiasi superficie tocchi. È sufficiente il contatto superficie-superficie per fare in modo che le forze di Van der Waals diventino significative.

Fondamentalmente la soluzione che Madre Natura ha escogitato per permettere ai gechi di arrampicarsi in maniera spettacolare un po’ dappertutto è relativamente semplice, ma ricrearla artificialmente non lo è altrettanto.

Dalle passeggiate spaziali ai circuiti stampati

Quando Aaron Parness, attuale responsabile del gruppo Robotic Climbers and Grippers del Jet Propulsion Laboratory della NASA, arrivò al JPL nel 2010, cioè una decina di anni dopo che gli scienziati avevano svelato il mistero del geco, egli aveva già lavorato ad una tecnologia per l’arrampicata umana che prendeva ispirazione dalla particolarità dei polpastrelli del rettile, come studente laureato dell’Università di Stanford.

La NASA in quel periodo era molto interessata a questa tecnologia da applicare alle operazioni spaziali. «Muoversi in microgravità è più un problema legato all’arrampicata che alla camminata» spiega Parness, osservando inoltre che dei polpastrelli artificiali simili a quelli del geco sarebbero facili da usare, resisterebbero alle radiazioni ed eviterebbero l’impiego di altre tecnologie, come quelle delle ventose, che nel vuoto dello spazio sarebbero inutili. Nel 2013, quando Nick Wettels si unì al gruppo di Parness come ricercatore post dottorato, il lavoro si era spostato alle tecniche per la presa dei satelliti da riparare in orbita. Ora Wettels è direttore della ricerca e sviluppo presso la OnRobot, la prima azienda in grado di offrire un sistema commerciale robotico di presa “gripper”, basato sulle caratteristiche dei polpastrelli dei gechi. In quel periodo egli era a capo della compagnia Perception Robotics, di cui era uno dei co-fondatori. A seguito del suo lavoro di post dottorato al JPL e mentre il lavoro della compagnia si stava focalizzando nello sviluppo di prodotti standardizzati, egli vide un buon potenziale per questa tecnologia nel campo della manifattura automatica, dove una soluzione del genere poteva offrire vantaggi rispetto alle alternative convenzionali per il sollevamento e la movimentazione di oggetti, per esempio in una linea di assemblaggio.

Di seguito ha ottenuto la licenza della tecnologia di base da Stanford e dal California Institute of Technology, che gestiscono il JPL e che hanno cooperato al lavoro di ricerca. Quindi Perception Robotics ha vinto i contratti di Fase I e II della Small Business Innovation Research del JPL per proseguire gli studi. Nel 2018 la compagnia si è fusa con l’impresa ungherese produttrice di sensori robotici OptoForce e con l’azienda danese OnRobot specializzata in gripper robotici simili alle dita. Subito dopo il Gecko Gripper è stato lanciato sul mercato iniziando a ricevere ordinativi a partire dal mese di giugno, e a fare le prime consegne alla fine dello stesso anno. Enrico Krog Iversen, amministratore delegato di OnRobot, che ha il quartier generale a Odense in Danimarca, ma che ha l’unità produttiva in California, nei pressi di Culver City, ha intuito subito le potenzialità del Gecko Gripper; in particolare egli ha intravisto un mercato nella produzione dei circuiti stampati.

A causa della loro conformazione, ricca di fori e di irregolarità superficiali, essi non possono venire maneggiati da sistemi di presa che sfruttano il vuoto; infatti la maggior parte dei produttori utilizza dei sistemi robotici denominati finger gripper, tuttavia il Gecko Gripper è in grado di fare lo stesso lavoro più velocemente e con una minore necessità di programmazione.

I gecko gripper un giorno potrebbero venire usati per montare oggetti all’interno dell’International Space Station. L’immagine mostra un gripper che sostiene un blocco per gli appunti ad un pannello simile a quelli presenti all’interno del segmento statunitense dell’ISS.
Credits: NASA/JPL-Caltech

Una presa da 6 kg

OnRobot sta ancora migliorando il proprio dispositivo, rilasciando dei nuovi aggiornamenti nonostante questa tecnologia abbia già fatto molta strada. La nuova pinza è in grado di raggiungere una forza di adesione che va dai 35 ai 40 kilopascal su di una superficie lucida, comparata ai 4 o 5 kilopascal raggiunti dalla NASA al momento dell’inizio delle sue ricerche. Questi dati rendono il Gecko Gripper molto competitivo rispetto alle normali ventose pneumatiche. La compagnia ha dichiarato che il suo sistema è in grado di sollevare dei pezzi di metallo lucido del peso di 6 kg.

Questo risultato è dovuto in parte anche al fatto che i suoi ingegneri sono riusciti a trovare il modo di applicare dei sottili filamenti sulle parti terminali delle microstrutture, incrementandone ulteriormente la superficie di contatto. In aggiunta, la pinza viene equipaggiata con un sensore ultrasonico in grado di localizzare il proprio bersaglio e da un sensore di carico per determinarne il peso. L’attivazione e la disattivazione dell’adesione sfrutta la stessa tecnica impiegata dal geco: le minuscole fibre sporgono a un determinato angolo e quindi aderiscono solamente se ruotate nella giusta direzione; ruotate e tirate nella direzione opposta, esse rilasciano la presa.

Il Gecko Gripper prodotto dalla OnRobot. Credits: OnRobot

Utilizzato al posto di una pinza pneumatica che sfrutta l’effetto Venturi dato dall’aria compressa, un Gecko Gripper è in grado di ripagarsi in un periodo che va dai sei ai nove mesi. Esso è più forte delle pinze a ventosa e sopporta meglio gli sforzi di taglio, inoltre la versione in imminente uscita è in grado di funzionare con una potenza relativamente bassa da non richiedere un cavo esterno, incrementando così la propria mobilità. Questa nuova pinza è in grado di afferrare qualsiasi oggetto piatto e liscio, come schede elettroniche, pannelli solari, vetro e metalli senza lasciare segni o graffi su di essi. Mentre la compagnia continua a migliorare la propria tecnologia e a lavorare a diverse soluzioni, e mentre molti altri produttori iniziano ad interessarsi all’innovativo dispositivo, Krog Iversen è fiducioso che il Gecko Gripper prenderà piede: «Permette di trattare del materiale che non potrebbe essere mai maneggiato utilizzando la tecnologia esistente». Nel frattempo la NASA ha testato con successo la propria versione di pinza in un test di un anno sulla Stazione Spaziale Internazionale; inoltre una tecnologia ispirata al geco verrà ulteriormente testata sull’ISS integrando una pinza-geco con un robot Astrobee. Astrobee funge da piattaforma di ricerca che può essere equipaggiata e programmata per condurre esperimenti in microgravità.

Secondo Gareth Meirion-Griffith, che ora gestisce il gruppo Climbers and Grippers del JPL, gli ingegneri non possono considerarsi appieno gli inventori di questa rimarcabile tecnologia: «Se la natura non l’avesse inventata, non penso che nessun altro avrebbe mai potuto pensarci».

Fonte: NASA

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Luca Frigerio

Impiegato nel campo delle materie plastiche e da sempre appassionato di spazio, basket e birra artigianale. E' iscritto a forumastronautico.it dal Novembre 2005 e da diversi anni sfoga parte della sua passione scrivendo per astronautinews.it. E' socio dell'Associazione Italiana per l'Astronautica e lo Spazio (ISAA)

Una risposta

  1. MayuriK ha detto:

    Tecnologia davvero utile e interessante! Ringraziamo i gechi per l’ispirazione!