Zuma, la missione più elusiva di SpaceX

Il 2018 di SpaceX è iniziato con una missione classificata che ancora oggi custodisce gelosamente tutti i suoi segreti, tanto che non si è ancora avuta la conferma del buon esito del lancio.

Erano le 2 del mattino ora italiana di lunedì 8 gennaio quando finalmente prendeva il via la missione Zuma, un satellite segreto portato in orbita da un Falcon 9 per conto del Governo degli Stati Uniti, dopo quasi due mesi dalla data di lancio prevista. Originariamente prevista per novembre 2017, la missione era stata procrastinata a causa di alcune incertezze sull’affidabilità dei meccanismi dell’ogiva, che avevano imposto un richiamo del vettore nell’hangar di assemblaggio per una serie di controlli straordinari.

Il lancio, avvenuto alle 20 locali, ha illuminato il Kennedy Space Center grazie alla spettacolare scia lasciata dai motori Merlin 1-D, che hanno dipinto in cielo un doppio arco lucente: il primo per la corsa verso l’orbita, il secondo quando il primo stadio del vettore ha riacceso i propulsori andando a centrare l’ennesimo atterraggio di successo sulla Landing Zone 1.

Come prassi con le missioni classificate, Zuma è stata avvolta in un manto di segretezza molto stretto:  non sono stati annunciati né l’agenzia governativa committente, né gli scopi, e neppure l’orbita programmata per il veicolo. La diretta streaming, su richiesta del committente, dal momento dello staging si è concentrata unicamente sul rientro del primo stadio.

 

Zuma ha davvero fallito l’inserzione orbitale?

Sebbene sia del tutto normale che i parametri orbitali dei satelliti spia non vengano rivelati pubblicamente, già poche ore dopo il lancio si erano diffuse voci secondo le quali il satellite Zuma era andato perduto. Senza nessuna conferma ufficiale, impossibile da ottenere nel clima di segretezza di questa missione, la (non) notizia del fallimento ha fatto il giro del web, spingendo molti dei siti specializzati in news spaziali a rilanciare la tesi di un cattivo funzionamento del secondo stadio del Falcon 9.

Quando sembrava ormai assodato che Zuma fosse spacciato, ad emergere dal rumore di fondo è stato il conosciuto studioso amatoriale di satelliti artificiali Marco Langbroek, che sul suo blog stilava un’accurata analisi della situazione partendo da un fatto molto semplice: se da un lato non vi erano conferme della corretta messa in orbita del satellite, dall’altro non vi era alcun elemento concreto a supporto del contrario.

Marco iniziò, come sua consuetudine, a collezionare e analizzare vari elementi nel tentativo di ricostruire le caratteristiche di questo  lancio “top secret”, raccogliendo avvistamenti di altri appassionati e fotografie di semplici osservatori casuali.  Proprio due di questi scatti, provenienti dal Sudan,  riprendevano verso le 03:18 UTC lo spettacolare “fuel dump” del secondo stadio del Falcon 9. Il fuel dump è l’attività di  rilascio dei propellenti  normalmente condotta poco prima del rientro distruttivo di uno stadio, in modo da prevenire esplosioni dovute all’accumulo di gas nei serbatoi ormai quasi totalmente vuoti, che scaglierebbero sul piano orbitale una pericolosa pioggia di frammenti.

Osservando le stelle visibili dietro la nube di propellenti a forma di spirale, confrontando gli orari di altri avvistamenti sopra il Sudan, e tenendo conto delle notizie diffuse dalle autorità marittime riguardo le zone di possibile impatto di detriti del Falcon nell’Oceano Indiano, Marco Langbroek stimò per Zuma (o quanto meno per il secondo stadio del Falcon 9) un’orbita con un’altezza di circa 900 km e un’inclinazione di 50 gradi.

In un lungo e dettagliato articolo  sul suo sito, il blogger olandese ribadiva il suo scetticismo riguardo la presunta perdita della missione, e nella totale mancanza di informazioni ufficiali Langbroek cercava  di usare i pochi fatti conosciuti per trarre qualche informazione significativa, dando anche una lezione di giornalismo alle tante testate che si sono tuffate nella diffusione di notizie parziali e non supportate da fonti ufficiali.

Posto che senza una conferma da parte delle autorità governative statunitensi (conferma ancora mancante al momento della stesura di questo articolo, ndr) riguardo il fato di Zuma ogni considerazione in merito si può classificare come “voci di corridoio”, le tempistiche dei vari avvistamenti dal Sudan suggerivano  una performance nominale del Falcon 9, che avendo con buona certezza raggiunto l’orbita andavano ad invalidare le ipotesi fatte di alcune fonti, secondo le quali il  secondo stadio sarebbe rientrato prematuramente in atmosfera con Zuma ancora agganciato.

Di conseguenza secondo Langbroek gli scenari di un eventuale missione fallita si  ricondurrebbero a tre casi:

  1. Zuma è stato inserito in orbita ma alla quota sbagliata (troppo alta o troppo bassa)
  2. Zuma è stato inserito in orbita ma ha subito un guasto interno fatale dopo il rilascio
  3. Zuma ha raggiunto l’orbita ma il meccanismo di rilascio ha fallito, ed il satellite è rientrato insieme al secondo stadio del Falcon 9 verso le 03:30 e le 03:45 UTC. Questo scenario sarebbe analogo a quanto successo con il satellite classificato USA 193, che venne poi distrutto con un famigerato test del razzo anti-satellite aviotrasportato SM3.

Un altro elemento sottolineato da Langbroek è che il NORAD, che pubblica un elenco degli oggetti in orbita, ha effettivamente inserito nel catalogo l’oggetto numero 43098 COSPAR 2018-001A (USA 280) , classificandolo come payload (carico pagante), a supporto dell’ipotesi che  un veicolo spaziale sia effettivamente stato rilasciato in orbita. Purtroppo come per tutte le missioni top secret, i parametri orbitali non sono stati resi pubblici, rendendo impossibile un riscontro oggettivo alle deduzioni di Langbroek.

Cosa dicono le parti coinvolte

Immediatamente dopo il lancio SpaceX aveva definito la performance del Falcon 9 come “nominale”, escludendo quindi malfunzionamenti del vettore ma senza addentrarsi in particolari. Alcuni  aggiornamenti significativi sono poi arrivati nel corso della settimana.  Il più netto di tutti è una dichiarazione rilasciata il 9 gennaio al sito TechCrunch da Gwynne Shotwell, Presidente e COO di SpaceX:

Per fare chiarezza: dopo l’analisi di tutti i dati raccolti fino ad ora, il Falcon 9 ha fatto tutto correttamente domenica sera. Se noi (o altri) avessimo scoperto il contrario nel corso della nostra revisione dei dati, lo avremmo comunicato immediatamente. Qualsiasi informazione pubblicata che sia contraria a questa dichiarazione è categoricamente falsa. A causa della segretezza del carico utile non ci è possibile rilasciare nessun altro commento.

Poiché i dati non evidenziano la necessità di apportare modifiche progettuali, operazionali o di qualsiasi altra natura, non prevediamo alcun impatto sui lanci già programmati. Il Falcon Heavy è stato portato al complesso di lancio LC-39A per un test di accensione che si terrà alla fine della settimana, cui farà seguito il suo volo inaugurale. Stiamo anche lavorando ad un altro lancio del Falcon 9 per portare in orbita un satellite di SES e del governo del Lussemburgo dal pad SLC-40 nel giro di tre settimane.

 

L’altro partner commerciale di questo lancio, Northrop-Grumman, ha mantenuto  il più assoluto silenzio, nonostante le implicazioni che una perfetta performance del Falcon 9 avrebbero sulla sua reputazione: sia in caso di un malfunzionamento del meccanismo di rilascio, sia in quello di un problema grave al satellite, sarebbe proprio il gigante dell’industria aerospaziale americana a trovarsi al centro del mirino.

Dal lato del committente, cioè il Governo degli Stati Uniti, le bocche sono cucitissime. In una conferenza stampa avvenuta lo scorso mercoledì, interrogata dai giornalisti riguardo lo status di Zuma l’addetta stampa del Ministero della Difesa Dana White ha dichiarato:

Temo di dover girare la vostra domanda a SpaceX, che ha condotto il lancio.

Incalzata sull’aspetto finanziario della possibile perdita di una missione potenzialmente molto costosa, White ha risposto promettendo di informare i giornalisti sull’argomento in un prossimo futuro.

La totale mancanza, insomma, di notizie e prese di posizione ufficiali riguardo la domanda principale, cioè che fine abbia fatto Zuma, ha portato anche ad un dibattito “virtuale” tra chi in seno alla comunità aerospaziale continua ad additare SpaceX come responsabile di un fallimento (comea abbiamo detto, negato vigorosamente) e chi invece, addirittura, vedrebbe nel presunto fallimento una cortina fumogena volta a nascondere ancora meglio la natura e la missione di Zuma.

A far sentire la propria voce a sostegno di SpaceX è stato Matt Desch, CEO dell’azienda Iridium Communications, uno dei migliori clienti di SpaceX fino ad oggi. Rispondendo ad un articolo critico verso l’azienda di Elon Musk, Desch ha senza mezzi termini puntato il dito contro Northrop-Grumman e definito le notizie riportate nel pezzo come “fango” generato dai concorrenti di SpaceX per danneggiare un’azienda che tanto scompiglio sta portando nel mercato dei lanciatori.

Conosceremo mai il destino di Zuma?

Sempre secondo quanto riportato da Marco Langbroek il mistero su Zuma potrebbe essere risolto molto presto. Durante la scorsa settimana il satellite, ipotizzando che si trovasse regolarmente in orbita, non era visibile dall’emisfero settentrionale perché i passaggi sono avvenuti o di giorno, o dentro il cono d’ombra della Terra (mascherando la sua presenza, in un caso per la troppa luce e nell’altro per la mancanza totale di luce riflessa, ndr). Gli avvistamenti dal Sudan hanno però confermato l’inclinazione del piano orbitale e quindi, salvo manovre post distacco dal Falcon, tra la terza e la quarta settimana di gennaio dovrebbe essere finalmente possibile avvistare fisicamente Zuma.

La presenza di un oggetto nei nostri cieli, o la sua mancanza, saranno la tanto attesa soluzione all’enigma.

Fonti: Twitter, SatTrackCam Leiden di Marco Langbroek

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Commenti

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Marco Zambianchi

Spacecraft Operations Engineer per EPS-SG presso EUMETSAT, ha fatto parte in precedenza dei Flight Control Team di INTEGRAL, XMM/Newton e Gaia. È fondatore di ForumAstronautico.it e co-fondatore di AstronautiCAST. Conferenziere di astronautica al Planetario di Lecco fino al 2012, scrive ora su AstronautiNEWS ed è co-fondatore e consigliere dell'associazione ISAA.

2 Risposte

  1. Adriano Bassignana ha detto:

    fosse un satellite “invisibile” sia in ottico che radio … nessuno ci ha pensato?