Luca Parmitano e la sua problematica EVA: uno spiegone

Il casco della tuta spaziale usata da Luca Parmitano durante la prova che ha confermato la perdita di acqua al suo interno - Fonte: NASA - http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/station/crew-36/html/iss036e037249.html

– L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione inziale –

Il 26 febbraio scorso la NASA ha convocato una conferenza stampa per presentare i risultati della Commissione d’Inchiesta cui era stato dato l’incarico di chiarire le cause dell’incidente occorso al nostro Luca Parmitano il 16 luglio 2013, mentre svolgeva la seconda attività extraveicolare della sua carriera. L’EVA era stata interrotta prematuramente per ordine del Centro di Controllo Missione di Houston, visto l’accumularsi di una quantità anomalmente alta di acqua nel casco della tuta spaziale.

Il rapporto, estremamente dettagliato, ha smentito le ricostruzioni della prima ora che volevano la sacca dell’acqua potabile come responsabile della perdita, individuando invece con certezza in un filtro contaminato nel sistema di trasporto della condensa verso il circuito di ventilazione la causa fisica dell’incidente.

Perché tanto pericolo dall’acqua nel casco?

I “profani” di cose spaziali potrebbero chiedersi cosa vi sia di tanto pericoloso nell’avere qualche bolla d’acqua nel casco. Vediamo allora alcuni punti importanti, da non dimenticare nel valutare i fatti:

  • La tuta spaziale serve a proteggere l’astronauta da due condizioni:
    • il vuoto,  condizione naturale nello spazio cosmico e che ovviamente circonda l’astronauta impegnato nella passeggiata spaziale
    • le temperature estreme, che nell’orbita della ISS possono variare tra +/- 120° C
  • È troppo pericoloso aprire la visiera del casco, anche per pochi istanti. Il corpo dell’astronauta non “esploderebbe” (come alcuni film d fantascienza potrebbero lasciar credere), ma a parte gli impedimenti di tipo tecnico (il casco delle EMU è un pezzo unico e la visiera non si solleva), certamente il malcapitato potrebbe subire gravi danni polmonari o il congelamento del liquido lacrimale.
  • L’astronauta lavora in assenza di peso, ed in queste condizioni alcuni fenomeni a cui siamo abituati non si verificano più. Le bolle d’acqua, per esempio, assumono forma sferica a causa della tensione superficiale, non “cadono” in nessuna direzione particolare ma restano appiccicate agli oggetti con cui vengono in contatto. Niente meglio del filmato che segue, dove ironicamente il protagonista è proprio Luca Parmitano, spiega visivamente questo comportamento.

I fatti

Lo scorso 16 luglio 2013 gli astronauti Chris Cassidy (EV1) e Luca Parmitano (EV2) erano impegnati nell’attività extraveicolare (EVA) numero 23. Dopo circa 38 minuti dall’inizio delle operazioni all’esterno della ISS Parmitano ricevette un allarme “CO2 Sensor Bad” (Errore al sensore della CO2 – ndr) dalla telemetria della tuta. Al minuto 44 l’astronauta italiano segnalava la presenza di acqua nel suo elmetto, in particolare nella zona della nuca. Sia Parmitano che il team di controllo a Houston non riuscirono ad identificare con chiarezza la fonte della perdita. Poco dopo anche il compagno di “passeggiata” Cassidy confermava di vedere dell’acqua all’interno del casco del collega. Trascorsi altri 10 minuti, Parmitano comunicava a Terra che la quantità d’acqua era in aumento, nonostante avesse cominciato da tempo a “bere” tutte le bolle che arrivavano abbastanza vicino alle sue labbra. I due astronauti continuavano comunque a lavorare seguendo la tabella di marcia, ma preso atto che l’anomalia non accennava a rientrare, il Flight Control Team di Houston decideva di ordinare l’interruzione dell’EVA e il ritorno dei due astronauti al sicuro, nel modulo airlock Quest.

La procedura prevede, in questi casi, che l’astronauta che soffre del problema sia il primo a rientrare, mentre il compagno si adopera a mettere in sicurezza la zona dei lavori per poi seguirlo in un secondo tempo. Durante la traslazione verso il modulo Quest l’acqua che fino a quel momento era rimasta confinata prevalentemente alla zona posteriore del casco iniziava a muoversi verso il viso di Parmitano, bagnando la cuffia contenente auricolari e microfono al punto da comprometterne il funzionamento. La ripressurizzazione avveniva al ritmo “nominale” (ne esiste una versione “rapida” per gravi emergenze, che però non è stata usata in questo caso – ndr) e una volta aperto il portello di comunicazione con il resto della Stazione Luca venne aiutato dai colleghi a completare la laboriosa svestizione della tuta spaziale.

Questo filmato mostra il momento del rientro a bordo di Luca Parmitano. Si può osservare come i compagni si adoperino per aiutarlo a sfilare quanto prima casco e guanti, per poi passargli un asciugamani che gli consente, finalmente, di ripulirsi il viso.

Al momento della rimozione dell’elmetto la serietà della situazione fu evidente: la quantità di acqua in esso imprigionata era molto importante, circa 1,5 litri, decisamente troppo perché la fonte potesse essere la sacca dell’acqua potabile come si era pensato in un primo momento. A causa dell’assenza di peso poi, il liquido aveva avvolto pericolosamente il viso dell’astronauta italiano, vicino a naso e bocca, e il fatto che nonostante tutto Parmitano avesse mantenuto la calma aveva quasi “sminuito” la portata dell’incidente. Inoltre, mentre la speciale sottotuta indossata da Parmitano era sostanzialmente asciutta, la cuffia in stoffa che ne rivestiva il capo era imbevuta d’acqua e per questo non era stato più possibile per Luca parlare con Houston durante gli ultimi minuti della passeggiata spaziale e per tutta la durata della ripressurizzazione.

A passeggiata spaziale conclusa Parmitano fu impegnato in un dettagliato debriefing, durante il quale rivelò al Controllo Missione ulteriori  dettagli legati al suo incidente. Mentre si muoveva verso Quest  la sua capacità visiva era stata fortemente compromessa dalle bolle d’acqua rimaste appiccicate al viso, e altra acqua era entrata nelle sue narici rendendogli molto complicato respirare. La capacità di orientarsi di Parmitano era tanto diminuita che secondo il suo racconto per fare ritorno alla camera di equilibrio dovette fare affidamento al cavo metallico di sicurezza, risalendolo fino a trovare la via giusta.

La Commissione di Inchiesta

Volendo fare piena chiarezza sull’accaduto e vista la gravità dell’incidente la NASA ha nominato una “Mishap Investigation Board”, una commissione di inchiesta indipendente che ha ricevuto l’incarico di condurre un’indagine imparziale e di stilare una lista di possibili raccomandazioni perché imprevisti analoghi non si ripetano in futuro.

I membri della commissione erano:

  • Chris Hansen, Ingegnere capo del programma ISS, NASA Johnson Space Center, Presidente
  • Mike Foreman, Astronauta, NASA Johnson Space Center
  • Joe Pellicciotti, Ingegnere specializzato, NASA Goddard Space Flight Center
  • Richard Fullerton, Specialista in EVA e sicurezza, NASA Headquarters
  • Sudhakar Rajulu, Dottore di Ricerca (PhD), Specialista in Ergonomia, NASA Johnson Space Center

Le scoperte della Commissione d’inchiesta

Come già accennato la causa fisica della perdita di acqua nel casco di Luca Parmitano è ascrivibile alla contaminazione, da parte di materiale inorganico di provenienza non ancora accertata, della pompa (Fan Pump Separator) presente nel circuito nel circuito di trasporto della condensa verso il circuito di ventilazione del PLSS.  Questo materiale ha occluso molti dei piccoli fori di cui questo apparato è provvisto, impedendo il normale flusso dell’acqua e causandone lo sversamento nel circuito di areazione, seguito dal rilascio nel casco dell’astronauta.

Uno dei fori occlusi dal contaminante - Fonte: NASA

Uno dei fori occlusi dal contaminante – Fonte: NASA

Per spiegare come si sia arrivati a tale evento, la Commissione ha identificato 5 cause primarie per l’incidente.

  1. Il programma ISS pone la massima enfasi sul massimizzare il tempo speso dall’equipaggio nel compimento di esperimenti scientifici.
  2. Il Flight Control Team ha maturato troppo in fretta la convinzione che la causa della presenza di acqua nel casco fosse legata alla sacca dell’acqua potabile.
  3. Vari membri del Flight Control Team hanno osservato, interrogati durante le indagini,  che il sistema per la segnalazione delle anomalie sia particolarmente impegnativo e “time consuming”, al punto da rendere le persone riluttanti ad utilizzarlo.
  4. Nessuno ha pensato di applicare le conoscenze sulla fisica dei fluidi in microgravità al caso di una perdita dal circuito separatore dell’acqua di cui è dotato il PLSS.
  5. Col tempo la presenza di piccole quantità di acqua nel casco sono state considerate accettabili e “normalizzate”.
Lo schema dell'impianto pneumo-idraulico della EMU. Evidenziata dal cerchio rosso la valvola contenente il filtro difettoso. - Fonte: NASA

Lo schema dell’impianto pneumo-idraulico della EMU. Evidenziata dal cerchio rosso la valvola contenente il filtro difettoso. – Fonte: NASA

Vi sono poi stati altri fattori, sebbene di gravità inferiore, che hanno contribuito a creare una situazione di grande pericolo:

  1. L’EVA 23 è stata autorizzata nonostante la non completa comprensione della piccola perdita di acqua manifestatasi durante la EVA 22, aggravando il rischio complessivo.
  2. L’ordine di interrompere EVA 23 non è stato dato immediatamente dopo la segnalazione di Parmitano, ma solo 23 minuti più tardi, aggravando il rischio complessivo. Nessuno, né i controllori di volo a Houston né gli astronauti ha saputo riconoscere la gravità del problema.
  3. Parmitano è stato rimandato da solo verso il modulo Quest, aggravando il rischio complessivo. La traslazione di Luca è avvenuta in piena luce solare, quindi in buone condizioni di sicurezza, tuttavia il cavo di sicurezza di Chris Cassidy impediva a quest’ultimo di assistere agevolmente il compagno (al quale, se avesse dovuto prestare aiuto, avrebbe dovuto agganciarsi mollando completamente i suoi ancoraggi alla ISS).
  4. La necessità di far fronte ad un programma di lavori molto intenso in tempi molto stretti per la preparazione di EVA 23 dopo EVA 22, ha di fatto scoraggiato gli ingegneri del FCT dal prendersi il tempo necessario per discutere approfonditamente la perdita di liquido avvenuta durante EVA 22, alla ricerca di possibili fonti diverse dalla sacca dell’acqua potabile.
  5. L’addestramento degli astronauti non prevede uno scenario di incidente paragonabile a quanto accaduto a Parmitano.

Quanto ha realmente rischiato Luca Parmitano?

Possiamo affermarlo senza mezzi termini: Luca Parmitano ha rischiato di perdere la vita. Dalla lettura del rapporto ufficiale si evince chiaramente la grave situazione che ha visto coinvolto il nostro compatriota: “Il membro dell’equipaggio EV2 (come identificato Parmitano nel rapporto ufficiale – ndt) è stato esposto al rischio potenziale di perdere la vita…  <omissis> … la grande quantità di acqua accumulata nel casco ha creato diverse condizioni di rischio, incluse asfissia, visione compromessa e ridotta capacità di comunicare“.  La Commissione di inchiesta ha comunque lodato il sangue freddo di Luca e le decisioni assunte dal Flight Control Team a Houston: “L’atteggiamento calmo mantenuto da EV2 mentre il suo elmetto si riempiva d’acqua potrebbe avergli salvato la vita“.

Le raccomandazioni per la NASA

Lo scopo di un’inchiesta che segue un incidente non è solo di accertare cause e responsabilità dell’accaduto, ma anche di trovare possibili soluzioni per azzerare o mitigare il rischio che un simile evento possa avvenire nuovamente in futuro. La Commissione di Inchiesta ha formulato un totale di 49 raccomandazioni, raggruppate in 3 differenti livelli di priorità, dalle più urgenti alle meno critiche.

  • Livello 1: 16 raccomandazioni di massima priorità. Queste devono essere completate prima di ripristinare il normale programma di attività extraveicolari (restano possibili quelle di emergenza).
  • Livello 2: 16 raccomandazioni la cui implementazione deve iniziare subito, ma non sono di impedimento allo svolgimento di future EVA.
  • Livello 3: 17 raccomandazioni la cui implementazione è possibile nel lungo periodo, e che vanno completate entro un ragionevole lasso di tempo.

Di seguito presenteremo le raccomandazioni di “Livello 1”, quelle più urgenti, mentre tutte le altre sono a disposizione del lettore sul testo originale del Rapporto (in inglese). La piena comprensione di alcune prescrizioni richiederebbe una buona conoscenza dell’assetto organizzativo di NASA, del Mission Control Center e di altri uffici/organizzazioni basati presso il Johnson Spaceflight Center di Houston, e possono risultare un poco criptiche. Tuttavia è interessante constatare come, a prescindere dai tecnicismi organizzativi, anche da questa disamina emergano alcune problematiche  già stigmatizzate dalle Commissioni di Inchiesta convocate in occasione dei tragici incidenti occorsi aelle navette spaziali Challenger (1986) e Columbia (2003), che sono costati la vita a 14 bravi astronauti.

  • Strutture organizzative complesse necessitano di una chiara definizione dei ruoli e delle competenze.
  • I tecnici specializzati delle aziende costruttrici/fornitrici dei sistemi spaziali devono avere garantita una via di comunicazione diretta e facilitata con i “decision maker” del Flight Control Team.
  • Permane il fenomeno della “normalizzazione della devianza”, ossia l’allargamento incrementale e quasi impercettibile dei “confini” di cosa è ritenuto accettabile e cosa invece sia un sintomo di un rischio reale da non sottovalutare ma, al contrario, da studiare e comprendere approfonditamente. Su questo argomento chiave, sottile e pericolosissimo, sono stati anche scritti lavori particolarmente interessanti.

Ecco quindi le sedici Raccomandazioni di Livello 1.

  1. Il management del programma ISS deve rinnovare l’invito a tutte le organizzazioni partecipanti ad inoltrare una specifica richiesta ai dirigenti competenti ogni volta che si ritenga utile usare del tempo-astronauta per approfondire e valutare eventuali problematiche legate ai sistemi in uso sulla Stazione. La stortura che questa Raccomandazione vuole correggere è che la necessità di rispettare le scadenze programmate e massimizzare il tempo speso dagli astronauti per gli esperimenti scientifici sono divenuti  principi quasi inviolabili, al punto che quadri di medio livello, di loro iniziativa, tendevano a non comunicare ai superiori problematiche che potessero influire su questi due fattori. È bene specificare che il Rapporto afferma senza ombra di dubbio che non sono state trovate prove dell’esistenza di un clima di paura, intimidazione o negligenza che possa aver contribuito in qualche modo a quanto accaduto.
  2. Il management del programma ISS deve assicurarsi che tutti i casi di perdita d’acqua all’interno delle EMU siano adeguatamente documentati e analizzati, e porre in essere eventuali azioni correttive. È stato accertato che piccole perdite di liquido siano state osservate varie volte anche prima dell’incidente di Parmitano, ma che in qualche modo siano entrate a far parte della “normalità”.
  3. Il management del programma IS e l’ufficio EVA del Johnson Space Center devono migliorare il reciproco coordinamento tecnico e organizzativo, assicurandosi che tutte le decisioni strategiche siano prese congiuntamente e che vengano ufficialmente approvate da entrambe le parti.

  4. Il management del programma ISS deve aggiornare i documenti di rischio delle EMU in modo che illustrino il pericolo di asfissia dell’astronauta dovuta a presenza di acqua nell’elmetto.
  5. Il management del programma ISS e gli uffici NASA competenti per gli appalti devono creare un clima adeguato a raccogliere dai fornitori legati al mondo delle EVA possano mettere in discussione le decisioni tecniche prese dall’agenzia spaziale, incoraggiandone la la partecipazione proattiva.
  6. Il MOD (Mission Operations Directorate – Direttorato per le Operazioni) deve implementare appropriate linee guida e procedure per eventuali casi di presenza d’acqua nell’elmetto degli astronauti.
  7. Il MOD deve ricontrollare tutte le procedure che prevedono “step” con il coinvolgimento del MCC (Mission Control Center di Houston) ,e verificare che esista una fondata motivazione per ogni azione la cui esecuzione sia affidata al Flight Control Team.
  8. Il MOD deve valutare l’efficienza delle comunicazioni e del processo decisionale tra il personale impiegato presso il Payload Operations Control Center ed il Flight Control Team, ed assicurarsi che sia sempre efficiente.
  9. Il management del programma ISS deve assicurare il collegamento tra tutte le parti coinvolte nelle attività extraveicolari, compreso il supporto in tempo reale durante le operazioni attraverso l’ascolto e la possibilità di intervenire sui loop audio del Mission Control Center.
  10. Il management del programma ISS deve definire ruoli e responsabilità del Supporto Ingegneristico e del Flight Control Team in modo tale che ciascuna posizione abbia un’idea chiara del suo proprio ruolo, di quello delle controparti, e delle rispettive aspettative che vanno poi concordate e stabilite congiuntamente.
  11. L’Ufficio Attività Extraveicolari deve assicurarsi che le procedure relative alle EMU in uso da parte di tutti i team coinvolti siano aggiornate e consistenti, e richiedere che tutte le eventuali contaminazioni scoperte durante i controlli a terra siano valutate da squadre di ingegneri specializzate.
  12. l management del programma ISS e l’Ufficio Attività Extraveicolari  devono far sì che tutte le procedure siano state validate sugli esemplari di tuta effettivamente in impiego operativo, soprattutto quando queste richiedono di accertare il reale funzionamento di un dispositivo al posto di un semplice controllo formale.
  13. Il MOD deve pianificare simulazioni di EVA che prevedano una interruzione prematura. Le simulazioni devono essere programmate per la loro intera durata teorica, ma possono essere interrotte per decisione del Flight Control Team (per introdurre anche il fattore “sorpresa”, ndr). Inoltre anche le procedure di ingresso nell’airlock Quest e la seguente ripressurizzazione devono essere incluse nelle simulazioni dove le tute spaziali son si trovano in condizioni “nominali”.
  14. Il MOD deve rafforzare l’addestramento per enfatizzare gli effetti fisiologici di una ripressurizzazione rapida.
  15. Il management del programma ISS deve effettuare dei test per verificare se la valvola di scarico dell’aria presente sul casco della EMU possa essere efficace e sicuro. I risultati di questi test devono essere messi a disposizione della comunità coinvolta nelle EVA, incluso il Flight Control Team, e documentata nella Documentazione di Valutazione dei Rischi, nelle Regole di Volo (Flight Rules) e nelle Procedure.
  16. Il management del programma ISS deve iniziare una campagna sistematica di monitoraggio della qualità dell’acqua a bordo della ISS, per tenere traccia di eventuali cambiamenti che possano avere conseguenze su sistemi critici della Stazione come, ad esempio, sulle tute EMU, sulla salute dell’equipaggio, e su tutti gli impianti di bordo che utilizzino acqua e o le sue trasformazioni chimiche (ad esempio il generatore di ossigeno, l’impianto di trattamento delle acque, l’impianto di distribuzione dell’aria ecc.). Questo processo deve includere una valutazione delle capacità di monitoraggio di bordo e includere il ritorno sulla Terra delle parti usurate, per una accurata ispezione post-volo.

Cos’è e come è fatta una tuta spaziale EMU

Gli strati di una tuta spaziale EMU - (C) NASA

Gli strati di una tuta spaziale EMU – (C) NASA

Una tuta spaziale è uno scafandro a tenuta d’aria che rinchiude completamente il corpo di un’astronauta, fornendogli tutto il necessario per sopravvivere e, in certi casi, lavorare nel vuoto cosmico. Esistono decine di tipologie differenti di tuta spaziale, ma qui ci si limiterà ad una sommaria analisi della EMU.

La EMU, acronimo di Extravehicular Mobility Unit (Unità per la mobilità extraveicolare) è una tuta spaziale indipendente (cioè tutti i sistemi necessari al suo funzionamento sono autocontenuti, senza bisogno di cordoni ombelicali) e antropomorfa (cioè ricalca le fattezze del corpo umano) che fornisce protezione ambientale, mobilità, supporto vitale e mezzi di comunicazione per gli astronauti impegnati in attività extraveicolari in orbita terrestre. Introdotta per la prima volta nel 1981 a supporto del programma Space Shuttle, e discendente dello scafandro usato per le missioni Apollo, è di tipo semi rigido ed al momento è una dei due modelli di tuta spaziale a disposizione degli occupanti della Stazione Spaziale Internazionale (i Russi utilizzano le Orlan)

La EMU è una tuta spaziale formata da diversi pezzi intercambiabili e corredata da numerosi strumenti e accessori. Vediamo qualche numero:

  • Data di adozione: 1998 (nella versione “Enhanced”)
  • Massa: Tuta: 56 kg, PLSS 90 kg.
  • Spessore: 0,48 cm  distribuiti su 13 strati di materiale differente
  • Atmosfera interna: 29.6 kPa (cioè circa 1/3 della pressione atmosferica a livello del mare), ad ossigeno puro
  • Capacità operativa: 8 ore, con 30 minuti di riserve di emergenza
  • Costo stimato: 12 milioni di $ per un esemplare completo
  • Costruttore:  International Latex Corporation (ILC) Dover (tuta), Hamilton Standard (PLSS)

Si possono poi identificare due parti principali:

Lo schema generale dei componenti di una EMU - (C) NASA

Lo schema generale dei componenti di una EMU – (C) NASA

  • Lo scafandro pressurizzato, indossato come un vestito;
  • il PLSS (Portable Life Support System) cioè lo “zano” che contiene tutti gli strumenti necessari a garantire la sopravvivenza dell’astronauta.

A sua volta lo scafandro è composto di varie sottoparti “standard”, come torso, braccia, guanti, gambali che consentono di adattare il design alle misure di ogni astronauta. Vi sono, insomma, braccia, guanti, stivaletti S, M, L, XL e così via. L’elmetto è tra le componenti più delicate, e consiste in una bolla di policarbonato sulla quale viene appoggiata una copertura termica che include la visiera esterna, regolabile e ricoperta da una sottile lamina dorata.

Ancora Luca Parmitano ci illustra il suo vestito spaziale in questo video.

A bordo della Stazione Spaziale si trovano attualmente due tute EMU, immagazzinate nel modulo Quest, oltre alle Orlan russe.

Risorse aggiuntive

Se la lettura di questo articolo vi ha incuriosito, in questa sezione troverete alcune risorse aggiuntive particolarmente “sfiziose”.

Potete mettervi nei panni di un astronauta e provare a seguire questa procedura. Si tratta di una checklist che normalmente gli SpaceWalkers devono verificare prima di aprire il portello e uscire a lavorare all’esterno della Stazione Spaziale.

Per chi si fosse lasciato affascinare dal comportamento dell’acqua in assenza di peso, questo bellissimo filmato realizzato dall’astronauta Don Petitt, vulcanico americano appassionato di divulgazione, potrebbe fare al caso vostro.

Questo video offre una illustrazione dettagliata, strato per strato, dei componenti della tuta spaziale EMU, Un merito di questo contributo è che mostra chiaramente uno degli aspetti più sottovalutati dai non addetti ai lavori: il ridotto campo visivo degli astronauti e la necessità di disporre di utensili che possano essere usati attraverso gli spessi guanti. Sebbene l’introduzione dei caschi “a bolla” in policarbonato abbia fortemente migliorato la situazione, è bene ricordare che gli elmetti non si muovono con il capo dell’astronauta, ma una volta chiusi rimangono fissi ed ancorati al torso.

Fonti utilizzate

Immagini

  • Dove non diversamente indicato nella didascalia, tutte le immagini sono (C) NASA e sono tratte dalle fonti citate.
  • La foto di copertina mostra il casco della tuta spaziale usata da Luca Parmitano durante la prova che ha confermato la perdita di acqua al suo interno – Fonte: NASA – http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/station/crew-36/html/iss036e037249.html

 

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Commenti

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Marco Zambianchi

Spacecraft Operations Engineer per EPS-SG presso EUMETSAT, ha fatto parte in precedenza dei Flight Control Team di INTEGRAL, XMM/Newton e Gaia. È fondatore di ForumAstronautico.it e co-fondatore di AstronautiCAST. Conferenziere di astronautica al Planetario di Lecco fino al 2012, scrive ora su AstronautiNEWS ed è co-fondatore e consigliere dell'associazione ISAA.

2 Risposte

  1. Marco Bruno ha detto:

    Complimenti Marco, bellissimo articolo.