Bezos apre le porte di Blue Origin alla stampa

Lo "stemma" di Blue Origin

Lo “stemma” di Blue Origin

“Gradatim ferociter”, “Passo per passo, con audace determinazione”. Il motto latino inserito nel complesso logo della Blue Origin – quasi uno stemma araldico – rappresenta bene lo spirito con cui Jeff Bezos, il miliardario fondatore di Amazon, è entrato nell’industria spaziale, 16 anni or sono. E’ stato lui stesso a rivelarlo alcuni giorni fa ai giornalisti invitati ad una insolita visita della fabbrica di Kent, nello Stato di Washington. Il luogo, finora off limits, dove si costruisce il New Shepard e si mette a punto il nuovo motore BE-4.

Si è trattato di una occasione senza precedenti, dal momento che Bezos è da sempre piuttosto avaro di informazioni in merito alla realizzazione dei suoi progetti, né ama fare annunci ad effetto sulle mete che si propone: “nello space business è molto facile promettere la Luna” ha affermato provocatoriamente. Non a caso, fino ad oggi, i test del New Shepard sono avvenuti a porte chiuse e i vari successi ottenuti (il primo lancio, il 29 aprile scorso, il primo atterraggio, il 23 novembre, e il primo volo di un vettore usato, il 22 gennaio di quest’anno) sono stati resi pubblici solo ex post, attraverso filmati molto accuratamente confezionati e senza le immagini di esplosioni o di “disassemblaggi rapidi non programmati” alle quali ci hanno abituato gli atterraggi sperimentali di SpaceX.

Ora però, passo dopo passo, la determinazione delle tartarughe di Blue Origin comincia a concretizzarsi in risultati che Bezos intende rendere pubblici. Dopo i quelli della fabbrica di Kent, anche i cancelli della test facility in Texas si apriranno ai giornalisti in occasione di un prossimo lancio, con rientro, del razzo suborbitale intitolato al primo astronauta americano.

Il futuro del New Shepard

Ciò non significa che l’inizio dei voli turistici sia proprio dietro l’angolo. Bezos ha voluto precisare che si continueranno ad effettuare sul New Shepard verifiche su verifiche. Il veicolo sarà fatto ripetutamente decollare fino a che sarà in condizioni di volare. Essendo automatizzato e progettato per essere riutilizzato, si tratterà di un programma sostenibile: “i costi per rimetterlo in volo sono dell’ordine di poche decine di migliaia di dollari”.

Una volta dimostrata l’affidabilità di tutti i sistemi, si passerà ai voli umani. Probabilmente già nel 2017 a bordo del New Shepard ci saranno i primi “passeggeri collaudatori” che raccoglieranno informazioni sul rumore, le accelerazioni ed altri aspetti del comfort di volo. A rigore non si potrà definirli piloti collaudatori, perché il ruolo non è previsto: il volo è completamente automatico e gestito dal computer interno. Le sei persone a bordo, sedute dietro i più grandi finestrini mai costruiti su una capsula spaziale (misurano infatti poco più di un metro) potranno godersi il panorama, insieme alle altre emozioni del breve viaggio.

La capsula con i sei grandi finestrini di New Shepard 3. Credit: Blue Origin

La capsula con i sei grandi finestrini di New Shepard 3. Credit: Blue Origin

“La cosa divertente della salita sarà l’accelerazione dell’accelerazione, – ha osservato Bezos –. Il motore BE-3 fornisce più di 50.000 kg di spinta, ma quando si decolla c’è un sacco di propellente a bordo e così si accelera piuttosto lentamente. Poi, bruciando il combustibile, il veicolo diventa leggero mentre la spinta è la stessa. Quindi cresce l’accelerazione.”

Durante la salita i passeggeri sperimenteranno fino 3 o 4 G, mentre nella discesa l’accelerazione arriverà a 5 G, ma solo per pochi secondi. Il viaggio suborbitale li porterà poco oltre i 100 Km di quota che segnano i confini dello spazio e a una velocità di oltre 3 mach. Il tutto durerà una decina di minuti, inclusi 2/3 minuti di assenza di peso.

Se i test avranno esito positivo – ha continuato il fondatore di Blue Origin – si potrà ipotizzare per il 2018 l’inizio del servizio commerciale. Il prezzo del “biglietto” non è ancora stato stabilito, ma sarà competitivo rispetto a quelli già noti, proposti per gli analoghi viaggi offerti da Virgin Galactic (250.000 dollari) e da XCOR (150.000). Quanti saranno disposti a pagare somme del genere per un breve “assaggio” di spazio? Bezos assicura che, tramite il sito dell’azienda, già alcune migliaia si sono iscritti alla lista degli interessati. Sicuramente tra i primi passeggeri ci sarà lui stesso: “ho sempre desiderato andare nello spazio – ha confessato – anche se non è questo il motivo per cui ho fondato Blue Origin”. Chiunque abbia una certa disponibilità finanziaria può comprarsi un posto su una Sojuz, “ma il mio obiettivo è cambiare l’intera base dei costi dell’accesso allo spazio”.

“Comunque, sì. Desidero andarci e ci andrò”.

Non solo turismo

Durante la visita, Bezos non si è limitato a mostrare ai giornalisti il terzo New Shepard in corso di allestimento all’interno dei capannoni della sua fabbrica. Gran parte del lavoro dei 600 dipendenti di Blue Origin è infatti dedicato allo sviluppo di BE-4, il nuovo motore alimentato a metano liquido che, con i suoi 250.000 kg di spinta, sarà 5 volte più potente del propulsore del veicolo suborbitale. L’azienda di Kent è in competizione con uno storico produttore, Aerojet Rocketdyne, per fornire ad ULA il motore di Vulcan, il lanciatore destinato a raccogliere l’eredità di Atlas 5, liberando gli Stati Uniti dalla dipendenza dai russi RD-180.

L'ugello del nuovo motore BE-4. Credit: Blue Origin

L’ugello del nuovo motore BE-4. Credit: Blue Origin

L’invito di Bezos alla stampa è stato probabilmente motivato anche dal desiderio di mostrare al mondo che il suo motore è migliore, è stato sviluppato con denaro privato e sarà pronto diversi anni prima di AR1, il propulsore di Aerojet la cui realizzazione è sovvenzionata per più di 500 milioni di dollari dal Governo Federale. “Se ULA utilizzerà il motore AR1 – ha osservato –, ci sarà un notevole ritardo che aumenterà in misura significativa il tempo in cui dovremo affidarci ai motori russi”.

Come BE-3, BE-4 sarà un motore riutilizzabile, in grado di volare almeno 25 missioni. Bezos ne ha descritto la filosofia costruttiva paragonandolo al propulsore russo. L’RD-180 ha richiesto oltre un decennio di sviluppo, impiega materiali molto costosi, è molto leggero e spinge le sue prestazioni fino ai limiti. BE-4 invece implementa “una versione mediamente performante di un’architettura ad alte prestazioni”: può essere costruito più facilmente, è più economico e, non puntando a performance estreme, può essere riutilizzato.

Tecnici al lavoro sul propulsore BE-3 del New Shepard 3. Credit: Blue Origin

Tecnici al lavoro sul propulsore BE-3 del New Shepard 3. Credit: Blue Origin

Oltre che all’impiego su Vulcan, il motore BE-4 sarà destinato anche a quello che in Blue Origin chiamano Very big brother, un lanciatore in grado di raggiungere l’orbita che Bezos spera di far decollare da Cape Canaveral nel 2020. Maggiori notizie – ha promesso – arriveranno nel corso dell’anno.

Le ambizioni del miliardario di Amazon, naturalmente, non si fermano qui. “Per sviluppare il tipo di cose che stiamo facendo, credo che sarà utile avere veicoli orbitali molto grandi – ha detto –. Il nostro primo razzo orbitale non sarà l’ultimo e sarà il più piccolo di tutti quelli che costruiremo”.

La “Grande Inversione”

Affascinato dal volo spaziale fin da quando era bambino, Bezos non ha mai concepito l’impegno in questo settore come una pura questione di affari. Certo, ci dovrà essere un profitto, “perché ciò rende le cose sostenibili”, tuttavia chi è diventato miliardario con Amazon sa bene che “ci sono vie più facili per fare soldi”. Oltre alla passione, ciò che l’ha spinto ad investire una fortuna in Blue Origin (non ha voluto indicare ai giornalisti quanto, ma si tratta di una cifra molto più grande di 500 milioni di dollari) è la consapevolezza di stare facendo qualcosa di importante per l’umanità.

Jeff Bezos. Credit: Blue Origin

Jeff Bezos. Credit: Blue Origin

La sua visione, che ha qualche punto di contatto con le prospettive del fondatore di SpaceX, si dilata nel futuro fino all’epoca in cui viaggiare nello spazio non sarà prerogativa di pochi fortunati, ma esperienza di milioni di persone. “Sarò morto prima che si dimostri che ho sbagliato, e quindi è una previsione molto sicura da fare – ha scherzato –, ma la mia opinione è che ci sarà una Grande Inversione”.

Oggi, enormi complessi industriali sulla Terra costruiscono componenti che vengono inviati nello spazio, al costo di migliaia di dollari al chilo. Bezos prevede un rovesciamento in quel flusso di merci. A lungo termine si realizzerà uno spostamento delle industrie pesanti completamente fuori della terra, destinando il nostro pianeta solo all’uso residenziale e all’industria leggera. Spingeranno in questa direzione il crescente bisogno di energia, che presto sarà impossibile produrre in quantità sufficienti sul nostro pianeta, la necessità di ridurre l’inquinamento causato dalle attività industriali, il calo dei costi dell’accesso allo spazio e la possibilità di estrarre risorse da asteroidi e altri corpi celesti.

“Alcune persone dicono, e penso che sia un punto di vista ragionevole – ha detto Bezos alludendo anche a Elon Musk – che è necessario un piano B. Cosa faremo se succede qualcosa di brutto alla Terra? Io però guardo nella direzione opposta e dico che abbiamo bisogno dello spazio per assicurarsi che nulla di male accada alla Terra.

Il piano B consiste nell’assicurarsi che il piano A funzioni”.

 

In questa animazione è descritta l’esperienza dei passeggeri a bordo del New Shepard:

Fonte: Blue Origin

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Roberto Mastri

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