Nel 2018 gli ultimi voli del Delta IV Medium

La società ULA (United Launch Alliance) di Centennial in Colorado, che dal dicembre 2006 gestisce i lanci dei razzi Atlas 5 e Delta IV, ha comunicato lo scorso 2 marzo che intende dismettere la versione Medium del Delta IV entro la fine del 2018 (o al massimo nel corso del 2019), mentre la versione Heavy verrà mantenuta operativa fintantoché l’USAF (l’aviazione militare americana) continuerà a rivolgersi a ULA per mettere in orbita i propri satelliti più pesanti.

La ragione di esistere del Delta IV Medium, che a parità di carico pagante è più costoso dell’Atlas 5, risiede nel fatto di rappresentare una ridondanza del sistema di lancio nei confronti dei clienti, ma con l’avvento del Falcon 9 di SpaceX, il cui costo è notevolmente più basso, la ridondanza (sempre intesa dal punto di vista dei clienti) viene ormai fornita da quest’ultimo. Per questo motivo è stato deciso di pensionare il Delta IV che avrebbe inevitabilmente perso il confronto con il Falcon 9. Come già detto, il Delta IV Heavy verrà invece mantenuto in servizio dal momento che ad oggi è l’unico vettore certificato da USAF in grado mettere in orbita i suoi satelliti più massicci.

In realtà l’abbandono del Delta IV Medium è solo il primo passo di una grande ristrutturazione che gioco forza dovrà effettuare ULA, sempre più pressata dalla concorrente SpaceX sul piano dei costi di esercizio da una parte e dal Congresso americano che non vede di buon occhio l’utilizzo di motori russi dall’altra. Se infatti la fine del Delta IV sarà determinata dalla competizione persa con il Falcon 9, il Congresso potrebbe determinare la fine dell’Atlas 5 che adotta come motore principale un propulsore russo, il RD-180 realizzato dall’azienda NPO Energomash.

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Il Delta IV nelle sue varie configurazioni ha effettuato a tutt’oggi 28 lanci, 22 dei quali portando carichi militari. Dei 28 voli effettuati, 20 hanno utilizzato le versioni Medium e 8 la versione Heavy. Credit: ULA

Lo scorso dicembre il Congresso degli Stati Uniti d’America ha autorizzato la versione finale del National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2015. All’interno di questo documento, che stabilisce il budget destinato al Dipartimento della Difesa e come questo deve essere ripartito fra le varie voci di spesa, è presente una voce da 220 milioni di dollari per iniziare lo sviluppo da parte dell’USAF di un motore “made in USA” per mettere in orbita i propri satelliti militari a partire dal 2019. Questa decisione è una diretta conseguenza della tensione politica creatasi fra Russia e Stati Uniti in seguito alla crisi in Ucraina e per il fatto che molti satelliti militari americani dipendono indirettamente proprio dalla Russia per la loro messa in orbita.

Anche se ULA spera ancora in un ripensamento da parte del Congresso, ha già iniziato a guardarsi attorno per la sostituzione del motore RD-180 individuando come prima scelta il propulsore BE-4 in corso di sviluppo presso la Blue Origin di Kent, nello stato di Washington. Malgrado la preferenza sia dichiaratamente verso questo motore, viene preso in considerazione anche il propulsore AR-1 proposto dalla Aerojet Rocketdyne di Sacramento, in California. La decisione finale su quale motore adottare è attesa non prima del 2016. A prescindere dal motore scelto, il suo sviluppo avrà un costo previsto di circa 1 miliardo di dollari, una parte del quale finanziato tramite il National Defense Authorization Act. Per coprire il resto della spesa, sia Blue Origin che Aerojet Rocketdyne avrebbero già individuato degli altri investitori privati.

ULA sta però guardando ancora più avanti e ha iniziato a lavorare ad un razzo di nuova generazione chiamato attualmente NGLS (Next Generation Launch System). Il primo stadio di questo razzo sarà propulso dal motore scelto fra BE-4 e AR-1, mentre per lo stadio superiore sono in lizza fra gli altri la stessa Aerojet Rocketdyne e la XCOR Aerospace di Mojave, in California. La scelta sul fornitore del secondo stadio sarà resa nota il prossimo aprile, assieme a maggiori dettagli su questo nuovo razzo, il cui lancio inaugurale è previsto nel 2019.

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L’Atlas 5 nelle sue varie versioni ha effettuato finora 52 lanci, dei quali 31 con carichi militari. Credit: ULA

Nei piani di ULA, il nuovo NGLS andrà a sostituire sia il Delta IV (compresa la versione Heavy) che l’Atlas 5 consentendo tra le altre cose di ridurre il numero di rampe di lancio da dover gestire. Attualmente la società del Colorado ne utilizza ben cinque, considerando che ha in gestione anche i lanci del più piccolo Delta II. Due rampe si trovano a Cape Canaveral in Florida (SLC-41 per Atlas 5 e SLC-37 per Delta IV) per i lanci dalla costa est e tre a Vandenberg in California (SLC-3 per Atlas 5, SLC-6 per Delta IV e SLC-2W per Delta II) per quelli dalla costa ovest. Con l’entrata in servizio del nuovo razzo, e con il Delta II che verrà a sua volta dismesso una volta compiuti gli ultimi due lanci che rimangono da effettuare, le rampe di lancio necessarie saranno solamente due, una sulla costa est ed una su quella ovest.

Il passaggio al nuovo razzo sarà però progressivo, con un periodo di convivenza forzata fra NGLS, Atlas 5 e Delta IV Heavy in quanto la certificazione del nuovo vettore per portare carichi deputati alla sicurezza nazionale non avverrà prima del 2022. Fino ad allora per lanciare i satelliti dell’USAF si continueranno ad utilizzare gli Atlas 5 ed i Delta IV Heavy, sempre che la concorrenza di SpaceX non abbia nel frattempo sottratto una buona parte di queste importanti e remunerative commesse a ULA.

Fonte: SpaceNews

In copertina: il lancio più recente di un Delta IV Medium, avvenuto nel luglio 2014 da Cape Canaveral. Credit: ULA

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Paolo Baldo

Sono nato a Trento, dove vivo e lavoro. Fra i miei molti interessi l'astronautica occupa un posto privilegiato. La mia passione mi ha portato ad incontrare molti astronauti (di tutti i programmi spaziali occidentali, dal Mercury all'ISS) in svariati eventi pubblici.