Pad 39A: Musk contro Bezos

La rampa 39A, luogo iconico dell’avventura spaziale americana, è inutilizzata da tempo, e NASA sarebbe più che interessata a concederla in uso a terzi, anche solo per risparmiarsi il milione e duecentomila dollari annui di costi di manutenzione.
In luglio si fece avanti Blue Origin, una startup con ormai 13 anni di vita alle spalle, supportata anche dal fondatore di Amazon, Jeff Bezos. L’idea di Blue Origin era di convertire il pad 39A in uno spazioporto aperto a tutte le agenzie spaziali private. L’altro contendente, SpaceX, invece vorrebbe l’esclusiva del complesso per i propri vettori della famiglia Falcon. La controversia ha già portato Blue Origin a segnalare il caso allo US Government Accountability Office (istituzione per certi versi simile alla nostra Ragioneria dello Stato), bloccando così ogni possibilità di assegnazione degli impianti prima dell’emanazione di un verdetto. Il GAO ha tempo sino al 12 dicembre per pronunciarsi.

La proposta di Blue Origin aveva ricevuto il sostegno di numerose personalità politiche dello stato di Washington, nonché di United Launch Alliance, la joint venture tra Boeing e Lockheed Martin che ha stretti legami con Blue Origin e che al momento gestisce la stragrande maggioranza dei lanci governativi USA. Per contro, i rappresentanti della Florida, ove ha sede lo spazioporto, hanno caldeggiato la proposta SpaceX presso la NASA con una rara unità di intenti “bipartisan”.
Ricordiamo in proposito che la cosiddetta attività di “lobbying” negli Stati Uniti è permessa e regolamentata, e, secondo l’agenzia specializzata Bloomberg, SpaceX ha già speso  in questo campo più di un milione di dollari a partire dal 2012, mentre Blue Origin ha cominciato solo nel giugno 2013 con una cifra assai più piccola (20mila dollari). Secondo la stessa fonte, Musk ha speso dieci volte più di Bezos in contributi alle campagne politiche negli ultimi 4 anni.

In seguito all’appello al GAO, SpaceX ha già parzialmente riveduto le proprie posizioni, ventilando la possibilità di concedere l’uso del pad anche ad altri operatori commerciali, nel caso la sua proposta di leasing per 5 anni fosse accettata.
In una mail di risposta al sito divulgativo spacenews.com, Elon Musk, fondatore di SpaceX, è stato estremamente chiaro nel riassumere la posizione della sua compagnia:
“Dal punto di vista di SpaceX, consideriamo l’azione [di Blue Origin e ULA] come una tattica ostruzionistica ingannevole, peraltro piuttosto evidente. [Blue Origin] non ha ancora avuto successo nel realizzare un veicolo suborbitale riutilizzabile affidabile, nonostante gli oltre dieci anni di sviluppo. Se in qualche modo, nei prossimi 5 anni, se ne usciranno con un veicolo qualificato per gli standard NASA per il volo umano, e che possa attraccare alla stazione spaziale, ovvero lo scopo principale del pad 39A, noi saremo lieti di soddisfare le loro esigenze. Francamente, penso che sia più probabile che scopriremo degli unicorni che ballano dentro gli scarichi.”
In effetti, Blue Origin ha ricevuto fondi statali nei primi due rounds del programma Commercial Crew di NASA, ma è stata esclusa dal terzo round che ha visto SpaceX, Boeing e Sierra Nevada spartirsi 1,2 miliardi di dollari. Mentre SpaceX fa affidamento sui propri razzi Falcon, sia Boeing che Sierra Nevada impiegherebbero come vettore l’Atlas 5 di ULA; si aggiunga che ULA stessa potrebbe sentirsi minacciata dal Falcon nel proprio monopolio dei lanci spaziali del Pentagono.
A questo punto, le motivazioni dello scontro appaiono chiare: nella medesima mail citata poc’anzi, Musk arriva a dire: “Non posso dire per certo se le azioni [di Blue Origin] nascano da malizia. Non vi è alcun dubbio sulle motivazioni di ULA”.

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Paolo Actis

Paolo ha collaborato con AstronautiNEWS dal maggio 2008 al dicembre 2017